Antonio Dini, Il Sole 24 Ore 21/07/2009, 21 luglio 2009
SCARPE CARIOCA CRESCONO
La scarpa del futuro è una morbida sapathila, prodotta dalla brasiliana Divalesi: costa il 15% in più dei modelli equivalenti, circa 42 euro, ma è a impatto zero; niente sostanze chimiche inquinanti nella concia del pellame e la gomma della suola è prodotta in modo naturale da fonti rinnovabili. Il segreto non è tecnologico ma nel rispetto delle procedure: ogni parte non è solo eco, ma anche tracciabile e certificabile.
«Il nostro obiettivo è quello di far partire in tre aziende nello stato di Rio Grande do Sul la produzione delle scarpe con etichetta ecologica, aderenti alle norme più stringenti per l’area in cui esportiamo di più, quella europea» spiega Carmen Serrano, docente universitaria e ricercatrice del Senai, Servizio nazionale di ricerca per l’industria brasiliana. Fra le tre aziende, Divalesi è quella già pronta per la produzione: « la nostra scommessa: noi ci siamo e ora aspettiamo il mercato. Ci vorrà qualche anno, ma quando la coscienza globale delle eco-scarpe arriverà, ci troverà pronti» spiega Orceni Bernardi, titolare di Divalesi, media impresa familiare che 18 anni fa aveva iniziato producendo 20 paia di scarpe al giorno e oggi è a quota 1.500.
La scarpa ecologica è una delle armi a medio termine che l’industria brasiliana schiera per uscire dalla crisi e rilanciare sui mercati di tutto il mondo. Il Brasile è il terzo produttore mondiale dopo Cina e India, nonché il primo esportatore con 65,8 milioni di scarpe vendute nel primo semestre del 2009 pari a circa 680 milioni di dollari, in calo del 26,5% per volume e del 28,5 per valore rispetto allo stesso periodo del 2008, ma in crescita del 6% negli ultimi tre mesi.
«La crisi comincia a rallentare e, nel calzaturiero, dopo il secondo semestre cominceranno i dati positivi, nonostante la debolezza del dollaro; le nostre aziende devono essere pronte a ripartire» spiega Heitor Klein, direttore esecutivo di Abicalçados, l’associazione nazionale brasiliana dei produttori di scarpe, a San Paolo durante Francal, la più grande fiera calzaturiera in America latina.
Per uscire dalla crisi, da un lato si punta agli accordi con mercati "amici" come quello italiano e, dall’altro, sulla trasformazione da terzisti del mondo, in competizione con Cina e India, in produttori di scarpe firmate, di buona qualità e prezzi medio-bassi. «In Italia cerchiamo accordi per la licenza di marchi italiani in Brasile e la distribuzione in Brasile di scarpe italiane», sottolinea Klein, che con Abicalçados lavora alla tutela della produzione nazionale contro il dumping di aziende cinesi e vietnamite: entro un mese il Mercosur deciderà se agire per compensare con una misura anti-dumping i ribassi di quei Paesi, valutati a + 400%.
«Questo è il momento per accelerare con la costruzione del nostro franchising mondiale» afferma Paulo Kieling, direttore marketing di Via Uno, marchio del gruppo Bison che sta lanciando la sua terza linea "eco" e apre negozi in 15 Paesi. Gli fa eco Joao Gimenes, responsabile export del brand di lusso Dumond del colosso Paquetà: «Apriamo 50 negozi, 30 solo negli Emirati Arabi, e portiamo avanti 23 brand». Il carnet di aziende per cui Paquetà è terzista è infinito: Geox, Adidas, Clarks, Hugo Boss, Max Mara e decine di altre.
Con boutique di design e pubblicità in tutto il mondo, il fenomeno della scarpa da donna Melissa, marchio del colosso Grendene, è stata definita la principale innovazione nel settore dopo le lussuose sneakers in pelle di Prada di 10 anni fa. Nel campo dell’eco c’è anche la regina delle infradito, cioè Havaianas, che ne produce 22 milioni l’anno. O, per finire, l’ultima arrivata dell’eco-sandalo: Goòc. Pelé come testimonial, infradito realizzati recuperando copertoni di auto (12 milioni in 5 anni) e primo posto al mondo, come spiega il responsabile Aleio Faria, per "sandalìa reciclada e reciclàvel". E un obiettivo comune: conquistare il mondo tenendo pulito il Brasile.