Fabrizio Geremicca, Diario, luglio 2009, 21 luglio 2009
FABRIZIO GEREMICCA PER DIARIO LUGLIO 2009
La febbre del sabato sera La gente ”bene” del Vomero è stufa dei ragazzi di periferia che nel fine settimana invadono il quartiere e chiede la chiusura anticipata della metropolitana per non farli arrivare fin lì. Da loro
Quindici minuti in metropolitana, poco più in motorino. Tanto dista Scampia, la periferia di Napoli assurta a emblema di tutto quanto c’è di male in città, dal Vomero, insieme a Chiaia e a Posillipo il quartiere borghese per eccellenza. Sette fermate del treno giallo, quello della linea 1, inaugurata nel 1994 e assunta agli onori di un reportage del Times, qualche anno fa, in virtù delle opere di arte contemporanea che impreziosiscono gran parte delle stazioni. Non ce ne sono, però, in quella di Piscinola-Scampia. Fu realizzata nel 1995, all’epoca della prima giunta di Antonio Bassolino sindaco, quella del ”rinascimento napoletano”. E da 14 anni quella stazione del metrò e il treno che collega la periferia napoletana con il Vomero sono l’incubo di alcuni residenti vomeresi come Gennaro Capodanno, presidente del comitato ”Valori collinari”, che ne interpreta gli umori, li distilla e li evidenzia come sotto la lente di un microscopio. ”Qui il sabato sera è l’inferno – enfatizza – e non c’è soluzione diversa da quella che abbiamo formulato più volte, in varie occasioni”. L’ultima ad aprile, all’indomani di un fine settimana di risse tra ragazzini. Secondo questo signore di poco più di 50 anni, dal viso paffuto e dai toni pacati, la strada maestra, per restituire sicurezza e tranquillità ai vomeresi, è la seguente: ”Chiudere nel week end, dalle 18 a fine servizio, le tre stazioni del metrò collinare che ricadono nell’area del Vomero: Medaglie d’Oro, Vanvitelli, Quattro Giornate. Ho effettuato più di un sondaggio nel quartiere e garantisco che la proposta raccoglie il consenso della quasi totalità dei residenti della minicipalità collinare. Gente perbene costretta, il sabato sera, a rifugiarsi in casa, per evitare di imbattersi nelle orde barbariche che calano al Vomero dalla periferia proprio grazie al metrò collinare”.
Quello ipotizzato da Capodanno sembra un apartheid in salsa napoletana, neppure troppo originale. Era stato infatti già proposto quasi quattro anni fa dai militanti di Alleanza nazionale del Vomero. Era l’ottobre del 2005. Il consigliere comunale Andrea Santoro e un gruppo di consiglieri della municipalità organizzarono una manifestazione in via Scarlatti, isola pedonale e salotto buono del quartiere, con gazebo e moduli per raccogliere firme a sostegno di un’idea semplicistica quanto bizzarra: limitare durante i week end l’accesso alle stazioni della metropolitana del Vomero solo ai residenti del quartiere. ”Un provvedimento ad hoc contro le bande di spacciatori dell’area nord che trovano terreno ferile tra i tredicenni vomeresi, ai quali non manca mai in tasca la paghetta settimanale”, proclamarono all’epoca gli aennini. Santoro e colleghi raccolsero qualche sberleffo e il sarcasmo di chi immaginava la polizia impegnata a chiedere documenti e verificare il domicilio di chiunque si avvicinasse alla fermata del metrò, mentre pusher e affiliati ai clan della camorra, quelli veri, percorrevano indisturbati in motocicletta e in auto le strade del centro e delle periferia. Incamerarono, però, anche alcune centinaia di firme, a sostegno della proposta. Chi l’appoggia, tuttora, ritiene che il diavolo sia il treno e che l’aggettivo che faccia le differenza sia vomerese. Gente di destra, certo, ma non solo. Lo sa bene il verde Francesco Licastro, per molti anni presidente della circoscrizione Vomero-Arenella: ”C’è una certa intolleranza, da parte dei residenti del quartiere, nei confronti dei ragazzini che il sabato e la domenica sera arrivano qui dalle periferie. Sono centinaia. una folla e tra loro ci sono bulletti, ragazzi che sicuramente non sono vomeresi”.
La paura non aiuta a inquadrare i fatti nelle loro dimensioni reali, offusca lo sguardo, ingigantisce gli episodi. Ecco allora, per esempio, che una vicenda tutto sommato banale, certamente non drammatica – un tredicenne un quattordicenne danneggiano un telefono pubblico e sono fermati dalla polizia dopo aver infastidito un bel po’ di passanti – diventa, di bocca in bocca, di racconto in racconto, una storia di gang che si contrappongono a colpi di mazza, di vilenza metropolitana e guerriglia. Proprio come in certi brutti telefilm americani. Torna utile, dunque, per riportare i fatti alla loro giusta dimensione, il resoconto di un funzionario del commissariato di polizia della zona collinare, uno di quelli che, ogni fine settimana, predispongono i controlli per garantire un weeke end tranquillo. ” una storia che va avanti da quando ha aperto la metropolitana – dice – molti non hanno mai digerito che, insieme ai possibili clienti dei negozi, arrivino anche i ragazzini. E difatti non perdono occasione per proporre una chiusura anticipata del metrò nelle sere del sabato e della domenica. Noi potenzieremo i controlli, quello è ovvio, ma siamo ben lontani da una emergenza criminalità e lo abbiamo dimostrato, dati alla mano, anche ai consiglieri della municipalità che ci hanno interpellati”.
Incontrare ”i nuovi barbari”, per chi lo desideri, è piuttosto semplice. Basta salire sul treno che si stacca dalla banchina della stazione di Piscinola-Scampia, un sabato qualunque, dalle sette di sera in poi. A bordo del vagone ragazzine abbigliate da veline, sembrano molto più grandi dei loro 13 o 14 anni. Calamitano gli sguardi dei loro coetanei, che cercano di farsi notare in ogni modo. Hanno scarpe da ginnastica, magliette aderenti, cappellini con la visiera. Volti arrossati dal sole del primo bagno d’estate a Mergellina o alla Gaiola, a Posillipo. Non che siano chierichetti in libera uscita, anzi. Sono adolescenti come se ne potrebbero trovare in ogni altra periferia di una grande città: rumorosi, spavaldi, spesso maleducati, a volte insopportabili, insofferenti, talora teneri.
Proprio come Gianni, che ha tredici anni, ”quasi quattordini”, e racconta la sua giornata tipo in poche battute, mentre il treno supera la stazione di Chiaiano e punta in direzione della città ospedaliera del Policlinico e del Cardarelli. Intorno, gli amici prendono in giro sia lui sia il cronista, chiedono su quale tv sarà trasmessa l’intervista, se il giornalista scrive ”n’copp o Matino” (Il Mattino è il quotidiano più venduto a Napoli). Ecco, dunque, il sintetico diario di Gianni, la mazzamma (la fetenzia), come su un blog alcuni vomeresi doc descrivono gli adolescenti di Scampia: ”Mi sveglio, vado a scuola, mangio, faccio i compiti, poi vado a calcetto, torno a casa, ceno, mi addormento. In classe faccio un po’ di casino. D’estate vado a mare sugli scogli di via Caracciolo”:
Melania ha undici anni e mezzo e ne dimostra 16. truccata come una vamp: ”Mi alzo alle sette e mezza, vado a scuola, pranzo, poi la lezione di ballo, i compiti a casa, la televisione. A mezzanotte vado a letto”. Di Scampia, dice: ”Cambierei la violenza e la camorra”; del Vomero, invece: ”Bei negozi”. Sogna una vita in tutù e intanto evita di andare nei posti che considera più malfamati del suo quartiere: le Vele, il lotto G, il lotto P, le Case dei Puffi. Per Melania sono l’equivalente di quello che lei, ragazzina della periferia, rappresenta per i vomeresi: la linea di confine, lo spazio dove tutto è male o pericolo.
Mezz’ora dopo le otto di sera il treno arriva a piazza Vanvitelli, nel cuore del Vomero. Si aprono le porte e gli adolescenti di Scampia invadono la banchina, sorvegliati dallo sguardo occhiuto di due guardie giurate con pastore tedesco al guinzaglio. Parole di scherno in dialetto, fischi, sfottò. Oltre la scala mobile, in superficie, il quartiere dei vomeresi si sta ritirando. I negozi si apprestano a calare le saracinesche, i giovani si preparano a spostarsi in auto verso altre zone della città, gli anziani tornano a casa.
Gli adolescenti della periferia sciamano lungo via Scarlatti, presidiata da una camionetta dell’esercito e da una pattuglia della Guardia di Finanza; in via Luca Giordano sostano fuori dai pub, addentano tranci di pizza. Si sfiorano, senza mai incontrarsi, due città diverse. Reciproche diffidenze e radicati pregiudizi. Quelli dei vomeresi che guardano i ragazzini di Scampia come fossero tutti camorristi in erba. Quelli degli adolescenti della periferia nei confronti dei loro coetanei borghesi. Prima di mezzanotte i tredicenni di Scampia salgono sull’ultimo treno e tornano a casa. I più grandi continuano a gironzolare per il Vomero a bordo dei motorini. Qualcuno impenna, qualcuno sgomma per farsi bello agli occhi delle ragazzine.
Lunedì mattina. Il quartiere riprende il suo aspetto di sempre. Anziani a zonzo con il cane nell’isola pedonale, giovani mamme con passeggini, avvocati e commercialisti diretti agli studi professionali. Alle dieci aprono i negozi, ma la crisi morde anche nei quartieri ”bene” e di acquirenti in giro se ne vedono pochi. Sarà forse anche per questo che, alla fine, in questa storia di muri, incomprensioni e diffidenze, l’unico a dire qualcosa di ”sinistra” è Enzo Perrotta, il presidente del centro commerciale: ”Ogni giorno ottantamila persone raggiungono il Vomero con il metrò e le tre funicolari e per il quartiere questa è una ricchezza. Se poi il sabato sera a bordo dei vagoni ci sono pure gruppi di ragazzi che danno fastidio per gli schiamazzi e qualche provocazione ai danni dei coetanei vomeresi, non possiamo certo chiedere la chiusura delle frontiere. Perché noi non siamo cittadini di una repubblica indipendente, né si può sostenere che chi vive a Secondigliano o a Scampia sia, per principio, un delinquente”.
Considerazioni sensate, perfino banali. Eppure, alla prossima rissa, al prossimo fine settimana turbolento dalle parti del Vomero, si faranno di nuovo sentire le voci di chi, se potesse, intorno a Scampia costruirebbe un muro, di contenimento.