Ennio Carretto, Corriere della Sera 21/07/2009, 21 luglio 2009
L’AMERICA TORNA AGLI ANNI SESSANTA. NELLE METROPOLI SI UCCIDE DI MENO
Nel 1991 Washington divenne la capitale degli omicidi degli Stati Uniti: quell’anno le persone assassinate furono 479, praticamente 40 al mese. Quest’anno, da gennaio a giugno, gli omicidi sono stati solo 79, meno di 7 al mese, il minimo in un semestre da quasi mezzo secolo, per l’esattezza dal ”64.
Non solo: sono diminuiti anche i furti e le rapine (dell’11 per cento), le aggressioni (del 16 per cento) e gli abusi sessuali (del 27 per cento). Analogo fenomeno si riscontra nelle principali metropoli, da New York a Los Angeles a San Francisco e a Boston. Una sorpresa che, come ha scritto il Washington Post , lascia interdetti gli esperti, i quali si aspettavano un aumento dei crimini a causa della massima crisi economica dalla Grande Depressione, cioè dagli anni Trenta. E per la quale non esiste ancora una spiegazione convincente.
I crimini in America erano già inaspettatamente scesi nel 2008, del 4,4 per cento in media gli omicidi, del 3,2 per cento le aggressioni, del 2,2 per cento gli stupri, e dell’1,69 per cento i furti, secondo i dati dell’Fbi, la polizia federale. Ma nel 2009 l’inversione di tendenza si è accentuata, sia pure con qualche eccezione, quali Chicago e Dallas. Gli esperti si chiedono con apprensione e speranza assieme se essa sia passeggera, o se, nonostante la crisi, durerà quanto nei prosperi anni Novanta quando, dopo il tragico primato di Washington, gli assassini diminuirono del 43 per cento, le aggressioni del 34 per cento e i furti del 29 per cento. Prima che i crimini tornassero a crescere.
Cathy Lanier è il capo della polizia di Washington, una delle poche donne a ricoprire questa carica in una grande città americana. Attribuisce il fenomeno a due fattori: il crescente uso delle tecnologie anticrimine e il crescente aiuto della popolazione. Le banche dati, il monitoraggio delle telefonate di emergenza, l’analisi settimanale degli atti di violenza e via di seguito, afferma, ci consentono un’opera di prevenzione e interdizione delle gang giovanili, delle gang di rapinatori e delle gang della droga una volta impossibile. Inoltre i cittadini collaborano di più con i poliziotti che pattugliano le strade: «Nel 2007 – riferisce – versammo mezzo di milione di dollari a gente che denunciò e ci fece risolvere casi difficili».
Steven Levitt, un economista di Chicago, è d’accordo. Ha svolto una ricerca sugli anni Novanta e ha concluso che i fattori più importanti nel calo dei crimini furono quattro: l’aumento del numero dei poliziotti, l’incarcerazione di più criminali (arrivarono a 2 milioni, quattro volte di più che negli anni Settanta), la diminuzione della epidemia di crack, e incredibilmente la legalizzazione dell’aborto 15 anni prima. La prosperità, sostiene Levitt, fu un fattore secondario: «Quasi tutto dipende dall’attenta applicazione della legge». La stessa conclusione dello storico Roger Lane, l’autore de «L’omicidio in America». Studiando gli anni Trenta, Lane ha scoperto che, nonostante il mito di fuorilegge come John Dillinger e come la coppia Bonnie e Clyde, i crimini scesero: «Non è vero che la miseria porta sempre alla delinquenza».
Il sociologo Bert Useem ha una sua teoria. E’ convinto che più che le crisi economiche siano le crisi culturali ad alimentare i crimini. Cita gli anni Settanta, un periodo di contestazione dell’autorità e delle istituzioni. «Un periodo di prosperità – ricorda – ma in cui forze opposte divisero la società. La gente stava bene ma c’erano gruppi in rivolta». Qualcosa di simile accadde negli anni Venti, rileva Useem, anni di rifiuto delle regole: «Furono commessi più crimini che nella grande depressione ». Secondo il sociologo, capita sì che le crisi economiche producano violenza, ma anche che accomunino la popolazione nei sacrifici, e che la rendano solidale. Non vedo proprio, dice, gli analisti della Lehman Brothers, la banca d’affari che dichiarò bancarotta nel 2007, darsi alle rapine.