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 2009  luglio 21 Martedì calendario

I NATIVI ORA SCELGONO L’OLEODOTTO


Aspettando i bagagli nel nuovo aeroporto di Ottawa, capitale politi­ca del Canada, è impossibile non vedere la grande canoa tribale che ricorda i nativi d’America. «Nella nostra storia non siamo entrati in guerra con loro», ci tengono a pre­cisare i canadesi. Eppure la realtà attuale de­gli aborigeni locali non è molto diversa da quella degli indiani d’America. Appena ol­tre il fiume che costeggia la città si entra in Quebec, territorio selvaggio e incontamina­to, il Canada francofono. Ma qui i nativi, co­me in molte altre aree del Paese, vivono in riserve e non hanno potuto beneficiare del­lo sviluppo del Paese.

Ora le cose potrebbero cambiare per le tri­bù native dei territori molto più a Ovest, nel British Columbia, sopra Vancouver. L’economia del Canada occidentale ruota in­torno al petrolio. E il gruppo di Calgary, En­bridge Inc, ha pianificato la costruzione di 1.170 chilometri di oleodotti per il traspor­to dell’Oro nero da Edmonton. Gli ultimi 80 chilometri che dovranno essere compiuti da navi da trasporto dovranno passare pro­prio nel territorio dei Gitga’at e di altri abo­rigeni partendo da Kitimat in direzione sud-ovest verso il Pacifico, dove potranno essere organizzati i collegamenti con l’Asia e gli Stati Uniti. «I pericoli per l’ambiente so­no monumentali» ha detto al Globe and Mail Art Sterritt, rappresentante dei Git­ga’at e direttore esecutivo della Coastal First Nations, uno dei gruppi che difendo­no i diritti degli aborigeni. Ma non tutti so­no d’accordo nella comunità delle First Na­tions.

A lungo esclusi dallo sviluppo e dallo sfruttamento delle ricche risorse naturali del Canada molti leader adesso spingono af­finché le popolazioni native prendano parte ai progetti. La prossima settimana dovrà es­sere votato il successore di Phil Fontaine, il Grande capo dell’Assemblea delle First Na­tions.

E tutti e cinque i candidati sembrano allineati su questa idea. Lo stesso Fontaine ha detto che il progetto «rappresenta un’enorme possibilità per i nativi». Certo, ci sarà una dose di politica come in ogni campagna elettorale. Ma il gruppo Enbrid­ge sembra fare sul serio rendendo la partita molto importante. In gioco, ha fatto sapere, non ci sono solo i molti posti di lavoro per gli aborigeni, ma anche la proprietà del 10% del progetto da 4-5 miliardi di dollari cana­desi.

Il caso non è isolato. Dopo le sentenze della Suprema corte federale le società devo­no trovare un accordo con i nativi. Così nel­la stessa situazione della Enbridge c’è an­che la Mackenzie gas pipeline nei Territori del Nord -Ovest, la Lower Churchill River con lo sviluppo idrico in Labrador e quello eolico nel Sud dell’Ontario. Se è vero che il Canada è immune alla crisi questa volta a beneficiarne potranno essere anche loro.