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 2009  luglio 20 Lunedì calendario

 la favola del vecchio e del bambino. E il bam­bino ha la maglia azzurra e uno scudetto tricolore stampato sul petto

 la favola del vecchio e del bambino. E il bam­bino ha la maglia azzurra e uno scudetto tricolore stampato sul petto. Si chiama Matteo Manas­sero e si è piazzato tredicesimo al 138˚British Open, il più im­portante torneo di golf del Vec­chio Continente. I fatti straordi­nari sono almeno tre. Primo: ha solo 16 anni. Secondo: è ancora dilettante e si è lasciato alle spalle il fior fiore dei professio­nisti di tutto il mondo, Tiger Woods compreso. Terzo: è un italiano. Così come italiano è l’altro giocatore che come Ma­nassero ha chiuso il torneo al tredicesimo posto con 2 colpi so­pra il par. Solo che Francesco Molinari è professionista da di­verse stagioni e ad avversari di quel tipo e alla platea mondiale ci ha fatto il callo da parecchio tempo. I britannici, gente che di golf ne mastica parecchio, han­no subito adottato il bambino, più giovane vincitore della «sil­ver medal», il premio assegnato al miglior dilettante in gara, del­la storia dell’Open. A dire il vero gli inglesi aveva­no anche tifato per il vecchio campione, Tom Watson, 60 an­ni il prossimo 4 settembre. Do­po 38 anni di onorata carriera e 8 titoli vinti in altrettanti «major», invece di pensare alla pensione, Watson a Turnberry, in Scozia, si è divertito a mette­re sotto quasi tutto il meglio del golf mondiale. Tutti meno uno: Stewart Cink, giocatore Usa na­to quando Watson già da due anni calcava i green dei tornei pro. Watson e Cink hanno fini­to i quattro giri dell’Ailsa Cour­se in perfetta parità. Sono sta­te necessarie quattro buche di playoff per spegnere il sorriso rugoso del vecchio campione e consegnare titolo e assegno del vincitore al suo più giovane av­versario, secondo logica e ana­grafe. Due italiani nei primi quindi­ci all’Open. Mai successo. Ma quella del 2009 sembra proprio essere l’estate del golf tricolore. A parte gli exploit di Manasse­ro e Molinari, ieri Diana Luna in Spagna ha centrato per la se­conda volta nella stagione il se­condo posto. Un risultato che si somma alle due vittorie già con­quistate, rende più salda la sua leadership nella classifica euro­pea e dà corpo all’ipotesi di en­trare – prima italiana – nella selezione per la Solheim Cup, equivalente femminile della Ryder. E non è finita qui: l’onda lunga del golf made in Italy ha inondato anche le classifiche dei circuiti minori, dal Challen­ge all’Alps Tour. Potrebbe trattarsi di una coincidenza fortunata oppure, come sostiene il presidente fede­rale Franco Chimenti, dei primi effetti dell’esplosione di giocato­ri avvenuta in Italia negli ulti­mi anni: nel 1985 i golfisti era­no 20.000, oggi sono all’incirca 100.000. Ancora poca roba ri­spetto ai 70 milioni che si aggi­rano armati di ferri e bastoni sui percorsi di 120 Paesi del mondo. Ma in ogni caso una crescita esponenziale. La Feder­golf ha svecchiato l’immagine e avvicinato gli italiani ai green. Se fino a qualche anno fa gioca­re a golf era un passatempo da ricchi, oggi associarsi a un cir­colo spesso costa meno della quota annuale di una palestra. I genitori provano, contagiano i figli e così fioriscono i cam­pioncini. Negli ultimi giorni Alessan­dra Braida è arrivata seconda nel Riwerwoods Junior Open in Olanda; all’Evian Masters in Svizzera la squadra dei piccoli alfieri azzurri (Botta, Guberna­ri, Liti e Cantarini) si è piazza­ta terza. E nelle classifiche Usa e italiane per i ragazzi della sua età, Domenico Geminiani, tredicenne nato in Martinica da papà romagnolo e mamma caraibica, da due anni sembra non avere rivali. Molti vedono in lui – anche per l’analogo in­crocio interoceanico di cromoso­mi – un nuovo Tiger. Ma ieri ai campionati italiani cadetti ha dovuto lasciare il passo a Do­menico Castagnara. Dura la concorrenza anche tra i futuri campioni.