Angelo Aquaro, la Repubblica 20/07/2009, 20 luglio 2009
IL CAFF NON PAGA E STARBUCKS SCEGLIE DI ALZARE IL GOMITO
NEW YORK - Con il Frappuccino a 3 dollari e 85, più tasse, e siamo a 4,17 in totale, sfido che i conti non sono più quelli di una volta. Metteteci pure la crisi che accorcia le tasche e l´assalto di un concorrente come McDonald´s, che ha aperto un McCafé in ognuno dei suoi 16mila ristoranti qui negli Usa, e il caffè è servito: amaro. Howard Schultz, il padre padrone di Starbucks, la catena di più grande del mondo, 16mila e 120 punti vendita in 49 paesi (Italia esclusa) sa bene che quando, in questi giorni, presenterà l´ultima trimestrale, le cifre non saranno più spumeggianti come la "cream" che addobba (e ammappa) i suoi beveroni.
Sarà anche per questo che il papà del colosso di Seattle si è convinto al passo che sta dividendo gli esperti di marketing: darsi all´alcol. Proprio così: a partire da questa settimana, il marchio verde con la sirena in primo piano – il seno, che nei pionieristici anni 70 era nudo, ormai coperto dai lunghi capelli – tenterà di dare una scossa al brand, trasformando uno dei suoi storici locali di Seattle, 15esima Avenue, Capitol Hill, in una specie di mondo a parte, che si chiamerà semplicemente "15th Avenue Coffee and Tea". Via il marchio, via la scritta. Via i beveroni, il caffè solo con la macchinetta dell´espresso, e poi si serve vino, birra e, all´occorenza, anche qualcosa di più forte. Dice al Wall Stret Journal Ron Paul, presidente di Technomic Inc, che «aprire uno store con un nome diverso può dare a Starbucks la possibilità di testare la reazione dei consumatori senza coinvolgere direttamente il marchio».
Ecco, testare: proprio così. La casa, scrive Melissa Ellison, business reporter del Seattle Times e animatrice del blog Coffe City, è già pronta a trasformare altri due locali in città. Ma il mercato guarda avanti e scommette sul sub-brand. Dobbiamo aspettarci una Starbucks2? O l´esperimento servirà soltanto da pilota per importare poi gli alcolici, soprattutto il vino che negli Usa è sempre più di moda, negli stores verde-marchiati? La svolta alcolica è l´ultima sorpresa nella storia di un marchio che è già leggenda. Da una parte logo odiatissimo dai no-global, dall´altra punta di diamante di quell´imprenditoria Usa attenta all´industrialmente corretto (sostenibilità, riciclaggio). Già la città in cui nasce è lo specchio di una contraddizione: Seattle, tre milioni e mezzo di persone, il boom industriale e la vivacità intellettuale (è la città più acculturata d´America) puntellate dall´insofferenza giovanile (da Jimi Hendrix a Kurt Cobain). Non è un caso che quando i Grandi del Wto celebrano le magnifiche sorti e progressive del neocapitalismo – è il 1999 – si trovano contro appunto il popolo di Seattle, che si battezza in un assalto proprio a uno Starbucks. Dirà Schultz: «Che rabbia. Mica puoi protestare contro una lattina di Coca o una bottiglia di Pepsi. E invece Starbucks è allo stesso tempo un marchio che sta in ogni dove e un posto dove puoi andare e, trac, spaccare una vetrina».
Schultz è l´uomo che ha fatto la fortuna di Starbucks. Quando diventa amministratore, 1982, cerca di convincere i proprietari del marchio, che vende caffè macinato, a servire anche qualche tazza. L´illuminazione in un viaggio a Milano: la città dei caffè l´ha conquistato. Sei pazzo, gli rispondono: il caffè si beve in casa. Schultz s´è dovuto comprare l´azienda per convincerli del contrario. Riuscirà ora nell´ultima impresa?
I più arrabbiati sono quelli del Victrola Coffee Roasters. La caffetteria è sulla stessa 15esima Avenue in cui Starbusks sta aprendo il nuovo store. «Golia è tornato sotto un altro nome» dice Dan Ollis. «Mi si sono piazzati qui dentro per un anno e mi hanno clonato il locale». Sbuffa anche Tony Dreyfuss al Metropolis Coffe Company: «Hanno capito che alla lunga non possono competere con il calore della caffetteria di quartiere». All´idea di ritrovarsi il caffè corretto al posto del bibitone Alisha Allison, 18 anni, fa invece una smorfia: «Vino e birra? Sarebbe orribile. Questo è un coffee-shop: un posto dove sedersi e gustarsi un ottimo caffe. Alla vaniglia». Questione di gusti. E, da adesso, di costi.