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 2009  luglio 20 Lunedì calendario

IL NUOVO VOLTO DELLA JIHAD


Contro il " Colpo di spada" degli americani, i Taliban alzano lo scudo di Bowe Bergdahl. Per la prima volta dai tempi di Enduring Freedom gli Stati Uniti devono fare i conti con la cattura di un proprio soldato, caduto nelle mani dei seguaci del mullah Omar. O di uno dei tanti gruppi che ormai formano la galassia talebana.
Nel video trasmesso da Al Jazeera, e finito subito in Rete, a dimostrazione che l´arcaismo comunicativo del movimento è andato in soffitta dopo l´alleanza con i qaedisti, appare il soldato catturato a fine giugno nell´area di Paktika. Dopo l´inizio dell´operazione militare nel sud del paese che, se non decisiva per chiudere una guerra comunque difficile vincere, dovrebbe almeno ridimensionare il controllo territoriale dei Taliban nell´area per il tempo delle elezioni.
Bergdahl, che veste abiti tradizionali afgani e ha una barba folta, quasi fosse presentato come sulla via della conversione, dice di essere spaventato e di voler tornare a casa; chiede al governo di far rientrare le truppe e, naturalmente, lui con loro. Che appaia in buona salute è importante ma non rassicura: la cattività tra miliziani in turbante e kalashnikov regala momenti di serenità del tutto provvisori. Tanto che i suoi carcerieri hanno minacciato di ucciderlo se le richieste formulate non fossero esaudite.
Richiesta disperata, quella del "tutti a casa". Avviene in un momento in cui l´amministrazione Obama ha deciso piuttosto di rafforzare il suo impegno nel "Paese dei monti". Invertendo le priorità dell´era Bush. Certo non spetta a un soldato, tanto più prigioniero, la comprensione della complessità dello scenario strategico Afpak. Sotto il pervasivo suggerimento dei suoi carcerieri l´ostaggio Bergdahl non può che definire la presenza Usa in Afghanistan come "un perdita di tempo". Anche se lo fa guardando in basso, quasi a mandare segnali in codice. Ma è difficile che in riva al Potomac le sue parole possano essere ascoltate. Oltretutto gli Usa non trattano per la liberazione dei loro ostaggi, che puntano a liberare mediante operazioni militari. Bergdahl lo sa, come qualunque soldato a stelle e strisce, tanto più quelli coinvolti in un teatro di guerra. La sua sorte è affidata all´occhiuto sguardo dei Predator, pure spesso ciechi un uno scenario in cui tutto è mimetico, anche l´elemento umano, alla capacità delle forze speciali di seguire le tracce.
Quanto al video, appare diverso da quelli girati da Al Qaeda. In particolare da quell´altro americano, Johnny, che tra gli jihadisti milita invece volontariamente. Qui tutto è essenziale, senza enfasi, anche se si tratta di un´essenzialità che svela la nuda vita e, drammaticamente, rimanda a un pericolo mortale. La parole sono intervallate da riprese in cui Bergdahl mangia, immagini che nell´intento dei registi del sequestro intendono mostrare l´ospitalità locale contrapposta alla presenza di quanti si presentano in armi. Niente proclami, quasi a dimostrare che chi lo tiene prigioniero lo giudica un "prigioniero di guerra" e non è interessato alla jihad globale, a quella deriva filoqaedista che ha perduto l´Emirato dell´Afghansitan, ma solo al ritiro degli americani e della coalizione. Forze, insomma, con le quali si potrebbe persino trattare, decise a praticare il jihad solo in via difensiva. Un argomento cui l´amministrazione Obama, intenta a separare i gruppi islamisti in neo-tradizionalisti e radicali, e quest´ultimi in localisti e globalisti, potrebbe in futuro essere sensibile.