Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  luglio 17 Venerdì calendario

Troppo evidente il conflitto di interessi. O forse non abbastanza falco da meritarsi un posto in quello che sarà uno dei governi più conservatori della repubblica islamica dell’Iran

Troppo evidente il conflitto di interessi. O forse non abbastanza falco da meritarsi un posto in quello che sarà uno dei governi più conservatori della repubblica islamica dell’Iran. Esfandiar Rahim Mashaie, consuocero del presidente Mahmud Ahmadinejad, non sarà il suo primo vicepresidente. Sabato Ahamadinejad aveva annunciato la nomina di Rahim Mashaie, ma il fuoco di sbarramento aperto dagli ultraconservatori ha bloccato tutto. E ieri mattina Rahim Mashaie ha detto di «non volere più ricoprire la carica». La stretta parentela con Ahmadinejad (uno dei figli del presidente ha spostato una sua figlia) ha giocato contro Rahim Mashaie. Ma ancor più la sua posizione nei confronti di Israele. L’anno scorso Mashaie aveva innescato una polemica rovente dichiarando che l’Iran era «amico del popolo israeliano», anche se non «del suo governo». Affermazioni che avevano costretto la guida suprema Ali Khamenei a intervenire, e smentire. Appena Ahmadinejad ha annunciato la nomina, l’Unione degli studenti islamici, dura e pura, ha chiesto le dimissioni di Rahim-Mashai in una lettera pubblicizzata dai media governativi, compresa la tv iraniana in lingua inglese, Press Tv. L’hojatoleslam Hamid Rasaei, deputato conservatore, vicino a Ali Khamenei, ha dichiarato che «sarebbe stato meglio se questa designazione non fosse avvenuta». E Hossein Shariatmadari, direttore del quotidiano «Keyhan», ancor più vicino a Khamenei, ammoniva: «Ahmadinejad deve annullare la nomina se ha rispetto per i fondamentalisti». Il messaggio è arrivato a destinazione. Ahmadinejad, che si insedierà per il suo secondo mandato presidenziale tra il 2 e il 6 agosto, deve presentarsi in parlamento, il Majlis, e sottoporre i ministri scelti a un voto di gradimento. Ma è libero di scegliersi i vicepresidenti senza nessun vaglio parlamentare. Le pressioni della sua base fondamentalista sono però state sufficienti a fargli cambiare idea, e probabilmente anche una parola in privato di Khamenei. anche chiaro che Ahmadinejad non è ancora così forte da permettersi scivoloni o colpi di mano. La preghiera di venerdì scorso guidata da Akbar Hashemi Rafsanjani ha mostrato che i riformatori dello sconfitto Hossein Mousavi e dello stesso presidente dell’Assemblea degli Esperti non sono rassegnati, hanno punti di forza nelle stesse istituzioni islamiche e seguito popolare. E mentre, in segno di distensione, viene liberato l’ultimo dei nove dipendenti dell’ambasciata britannica a Teheran arrestati un mese fa (Hossein Rassam, dietro una cauzione di 100 mila dollari), nelle prigioni continua la repressione. Il sito dei dissidenti Roozonline denuncia la detenzione di 43 giornalisti, molte donne. Di alcune, come Marjan Abdollahian, si sa che sono state portate nel carcere di Evin, famigerato per le durissime condizioni: «Né le famiglie, né gli avvocati possono contattarle». E una luce ancor più sinistra viene dalle «confessioni», non si sa quanto autentiche, di un anonimo basiji con un passato da guardia carceraria al quotidiano israeliano «Jerusalem Post». Il miliziano - tra quelli che hanno attuato la repressione dei manifestanti - si vanta di aver «sposato», cioè violentato, numerose condannate a morte la notte prima dell’esecuzione, perché vergini, poiché l’islam non consentirebbe di mettere a morte una vergine: «Temevano più il matrimonio che la morte». La repressione, ha anche rivelato, è stata attuata «da adolescenti fatti affluire in tutta fretta dalle campagne».