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 2009  luglio 20 Lunedì calendario

LA LUNGA MARCIA DALL’AMPOLLA ALLA CROCE


Tanta acqua è passata sotto i ponti del Po, da quando il fiume eleva­to a divinità riempiva le ampolle di Umberto Bossi. Adesso, chi frequenta la casa di Gemonio riporta i segni di una ritrovata devozione cristiana. Come quell’immagine di San Michele, l’arcan­gelo che battagliò con Satana in perso­na, cui il Segretario sarebbe affezionatis­simo.

Del leader «pagano» che fu, insom­ma, le tracce sono ormai conservate so­lo dagli archivi. E di quel partito padano non alieno da un anticlericalismo popo­lare e contadino, che da sempre è parte del bagaglio di un Nord capace di sinte­tizzare grandi contraddizioni, le impron­te sono ormai nascoste. Anche perché, il secondo trionfo elettorale consecuti­vo, la Lega l’ha costruito anche con una campagna elettorale capillare fuori dal­le chiese di tutta la Padania. Il mondo dei cattolici praticanti è ormai un baci­no elettorale di prim’ordine, per il Car­roccio, e ciò ha consigliato il ceto politi­co più istintivo e ricettivo d’Italia – quello leghista, appunto – a riorienta­re la barra. Mano a mano che «identità» prendeva il posto di «onestà», e gli isla­mici soppiantavano i meridionali in ci­ma alla lista dei «problemi», dichiarati e percepiti. Assieme alle parole d’ordine, poi, sono cambiate anche i legami e i rapporti con il clero: con le alte sfere, che solo in parte e lentamente sono an­date attenuando la risalente diffidenza, ma soprattutto con il clero di base. E pensare che, all’inizio, in quella Lombar­dia dove l’epopea bossiana ebbe inizio, i «cattolici padani», che di quella identità facevano un perno della loro militanza leghista, erano una minoranza, attiva quanto piccola, in un partito che, forse perché fondato da gente che veniva da sinistra, pensava soprattutto al fisco, ai soldi e all’impresa strozzata dall’ineffi­cienza dello stato.

Storia di una minoranza

«Anche Bossi ha sempre saputo che i cattolici erano una colonna portante del nostro elettorato, giocava a fare l’anticle­ricale perché rendeva mediaticamen­te », dice Giuseppe Leoni, storica guida dei Cattolici Padani e senatore leghista fin dalla prima ora, che oggi organizza pellegrinaggi per leghisti nei santuari di mezza Europa.
Il blocco dei cattolici fasciati dalla bandiera verde ha passato diverse tra­versie e scissioni nella fase «pagana» del movimento di Bossi. In principio fu la leadership «vandeana» di Irene Pivet­ti, presidente per alcuni anni della con­sulta cattolica della Lega nata nel 1992. Assieme a Leoni e alla Pivetti, che non si erano mai amati, lavorava Giulio Ferra­ri, che oggi dirige il sito www.ilpada­no. com, voce di un leghismo cattolico tradizionalista e ancora prudente nell’ac­cettazione dei principi conciliari. Sem­pre il 1992, peraltro, è l’anno dell’attac­co frontale di Irene Pivetti al Cardinal Martini, accusato di amicizie coi signori di Tangentopoli: la città si schiererà uffi­cialmente col vescovo, ma l’episodio mostra per la prima volta, per contrap­posizione, la faccia di un’anima profon­da e radicata del partito. Un’anima catto­lica che si pensa, per mille ragioni, agli antipodi del cattolicesimo incarnato da Carlo Martini. L’ascesa di Irene Pivetti viene travolta dalla rottura con Umber­to Bossi, e i cattolici padani sono guida­ti dal solo Leoni.

Il filo con le parrocchie

Sul finire degli anni Novanta, Roberto Calderoli inaugura il famoso «rito del maiale», sostanziato di passeggiate sui­ne nei luoghi della grande provincia ita­liana che venivano destinati alla mo­schea di turno. Folclore dai toni forti, sempre più spesso accompagnato da messe riparatrici. Sulla Padania dome­nicale compaiono i sermoni del «sciur curat», prete varesino che firma così le sue prediche. Mentre si prepara a torna­re al governo nel 2001, quindi, il partito di Bossi rafforza il profilo padano-cri­stiano, e riannoda i fili con gerarchie e parrocchie.
Il clima è già cambiato quando la sto­ria plana dal globale al locale, l’11 set­tembre del 2001. Da allora ad oggi, l’im­migrazione e le paure degli italiani sono sempre di più la «ragione sociale» del partito di Bossi, ma anche la ragione di distanza più frequente rispetto al mon­do cattolico ufficiale. Ma il processo de­cisivo si avvia nella base e porta alle di­scussioni e contraddizioni di queste set­timane, con la Lega di governo a far ap­provare il nuovo giro di vite sull’immi­grazione. Che, naturalmente, ha avuto nel mondo cattolico ufficiale e diffuso un’eco ampia e, ancora una volta, varie­gata.


Dalla base alla porpora

«Prevale una logica difensiva rispetto al­l’immigrazione, in chi viene in chiesa come, spesso, in chi non ci viene. E mol­ti preti, pur critici rispetto a questa on­da, nella diocesi di Milano ma non solo, non prendono apertamente posizione, come il Vangelo spesso ci chiede, per pa­ura di perdere altri fedeli». A parlare co­sì è un sacerdote ambrosiano quaran­tenne, già tra gli allievi prediletti di Car­lo Maria Martini, che oggi fa il parroco in uno degli ultimi lembi fortemente agrari della Lombardia industriale. «Pe­raltro, mentre ci sono confratelli che tat­ticamente tacciono, per evitare altre emorragie tra i praticanti, altri aderisco­no sinceramente, probabilmente in buo­na fede, a una sensibilità difensiva. Che, naturalmente, assomiglia a quella della Lega». Così, in una diocesi in cui ancora tengono le infrastrutture oratoriane, se­gnate da un forte imprinting martinia­no che ancora pervade i consigli pasto­rali, il clero di base si interroga, e il Van­gelo è chiamato (o piegato?) a incrocia­re gli umori del popolo di fedeli. Quella anonima e ormai sparuta che va a mes­sa la domenica, e sparisce fino alla do­menica dopo. In alcune parrocchie del Varesotto, ad esempio, non si trova più in vendita Famiglia Cristiana, da sem­pre particolarmente accesa nel criticare le politiche leghiste in tema di immigra­zione e, più in generale, mai tenera con il centrodestra berlusconiano.

Intanto, in occasione della recente in­troduzione del reato di immigrazione clandestina, i vescovi lombardi hanno firmato tutti insieme un documento per chiedere ai parlamentari cristiani di bat­tersi per i diritti dei migranti. Dinami­che analoghe in Veneto, dove il vescova­do non si è apertamente schierato e do­ve anzi, nella Verona di Flavio Tosi, «sce­riffo leghista» per antonomasia, polemi­che anche recenti hanno visto per prota­gonista il vescovo Giuseppe Zenti, «ac­cusato » da ambienti del cattolicesimo che guarda a sinistra di essere schiaccia­to su posizioni troppo gentili nei con­fronti delle amministrazioni cittadine. Zenti ha ribattuto rivendicando la pro­pria totale autonomia, e il diritto al prag­matismo di un pastore che non può non parlare col primo cittadino.
In regioni in cui i primi cittadini con tessera leghista crescono di anno in an­no, la questione – c’è da credere – con­tinuerà a porsi.