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 2009  luglio 17 Venerdì calendario

ROMA – Le valigie di car­tone non ci sono più ma i nu­meri sono sempre quelli. Solo nel 2008 sono stati 122 mila gli italiani che si sono trasferi­ti dal Sud al Nord del Paese in cerca di lavoro

ROMA – Le valigie di car­tone non ci sono più ma i nu­meri sono sempre quelli. Solo nel 2008 sono stati 122 mila gli italiani che si sono trasferi­ti dal Sud al Nord del Paese in cerca di lavoro. Un numero in leggera crescita rispetto all’an­no precedente, quando erano stati 116 mila, ma sostanzial­mente stabile rispetto al pas­sato. Certo, c’è anche chi tor­na indietro: sempre nel 2008 altre 56 mila persone hanno fatto il percorso inverso rien­trando nel Mezzogiorno ma­gari per godersi la pensione. Ma non compensano nemme­no la metà di quel flusso inar­restabile che da anni svuota i paesini di Campania e Sicilia per affollare le città di Lom­bardia e Veneto. Un flusso inarrestabile Negli ultimi 11 anni, consi­derando partenze e rientri, il Sud ha perso a favore del Nord 700 mila persone. Come se a fare le valigie fosse stata l’intera città di Genova con l’aggiunta di La Spezia. Se risa­liamo le tabelle e torniamo in­dietro fino al 1955, superia­mo addirittura i 4 milioni. Questa volta a fare le valigie sarebbero gli abitanti di Mila­no e Roma messe insieme. E questo considerando solo chi cambia residenza e non i co­siddetti pendolari a lungo rag­gio: persone che conservano la residenza a Napoli o Paler­mo ma lavorano al Nord o al­l’estero. E tornano a casa, do­ve magari hanno lasciato la fa­miglia, un paio di volte al me­se. Sempre nel 2008 questi pendolari a lungo raggio so­no stati 173 mila. E anche lo­ro sono in crescita rispetto al­l’anno precedente, di oltre il 15%. Un Paese spaccato Di questione meridionale si parla da quasi 150 anni, la prima volta in Parlamento nel 1873 quando l’unità d’Italia era ancora fresca. Ma il «Rap­porto sull’economia del Mez­zogiorno 2009» presentato ie­ri dallo Svimez, l’Associazio­ne per lo sviluppo dell’indu­stria del Mezzogiorno, dimo­stra che siamo ancora fermi lì: un «Paese spaccato in due sul fronte migratorio», scrivo­no i ricercatori. Con un «Cen­tro Nord che attira e smista flussi al suo interno» ed un Sud che «che espelle giovani e manodopera senza rimpiaz­zarli ». Due Paesi in uno, un’imma­gine che preoccupa il capo del­lo Stato: «Deve crescere nelle istituzioni così come nella so­cietà – dice Giorgio Napolita­no – la coscienza che il diva­rio tra Nord e Sud deve essere corretto». E questo vuol dire che una «prospettiva di stabi­le ripresa del processo di svi­luppo deve essere fondata sul superamento degli squilibri territoriali». Fuori dalla crisi senza più persone costrette a lasciare la loro terra per lavo­rare. Ma l’emigrazione non è che il risultato di un Paese che viaggia a due velocità. In tutto. Il Pil è un indicatore troppo freddo per cogliere le differenze: nel 2008 è sceso dell’1 per cento al Centro Nord e solo un po’ di più, 1,1 per cento, al Sud. Ma sono set­te anni di fila che c’è questa differenza, nel dopoguerra non era mai successo. I dati sull’occupazione già aiutano di più: nel 2008 il numero de­gli occupati è salito di 217 mi­la unità al Nord ed è sceso di 34 mila al Sud. Nella classe d’età fra i 15 ed i 24 anni la di­soccupazione è arrivata al 14,5 per cento al Nord e addi­rittura al 33,6 al Sud. Troppa burocrazia Di infrastrutture neanche a parlarne: al Sud c’è una sola autostrada a tre corsie, il 7,8 per cento delle linee ferrovia­rie ad alta velocità. Ed anche l’acqua è un guaio serio: gli acquedotti sono ridotti così male che in Puglia se ne per­de lungo le tubature addirittu­ra il 46 per cento. La metà di quella messa in rete, contro una media nazionale che co­munque è di un terzo. Anche per la pubblica amministra­zione sono dolori: è vero che in Italia per progettare e affi­dare i lavori di una grande opera servono in media 900 giorni. Ma si va dai 583 gior­ni della Lombardia ai 1.100 della Campania, fino ai 1.582 della Sicilia. Più di quattro an­ni. Meno investimenti Non è un caso che proprio al Sud gli investimenti indu­striali siano scesi molto più che nel resto del Paese: del 2,1 per cento annuo dal 2001 al 2008, contro lo 0,6 per cen­to delle regioni settentriona­li. E non sorprende nemme­no che sempre nel Mezzogior­no le famiglie abbiano ridot­to i consumi più che altrove: meno 1,4 per cento contro meno 0,9. vero, in ogni Pae­se ci sono zone ricche e zone povere, ma il guaio vero è che da noi questo solco si al­larga sempre più. Dal 1995 al 2005 le nostre regioni meri­dionali sono sprofondate nel­la classifica europea della ric­chezza, perdendo in media una trentina di posizioni e an­dandosi a piazzare tra il 165/mo e il 200/mo posto su un totale di 208. In quel periodo le altre aree deboli dell’Unione euro­pea sono cresciute del 3 per cento l’anno, il nostro Mezzo­giorno solo dello 0,3. Ci sono anche dati in controtenden­za, ad esempio sull’export: nel 2008 le merci vendute al­l’estero dalle regioni del Sud sono cresciute del 3,2 per cen­to, grazie soprattutto ai deri­vati del petrolio, contro un calo dello 0,6 per cento nel re­sto del Paese. Ma è solo un’ec­cezione. La regola è sempre quella, la valigia pronta.