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 2009  luglio 18 Sabato calendario

IL VIZIO DI METTERE DA PARTE IL BUON SENSO


IN PREVISIONE delle prossime Olimpiadi il Comitato Olimpico annuncia solennemente che, quando si faranno le eliminatorie, quasi nessuno verrà escluso. Se le cose andassero diversamente il Comitato si dimetterà assieme a tutti gli organismi sportivi internazionali, perché l’eliminazione di un numero di atleti maggiore di qualche unità percentuale significherebbe il fallimento delle istituzioni preposte alla cultura sportiva e motoria. In verità aggiunge il Comitato un simile risultato deve estendersi a tutti gli esseri umani, altrimenti sarebbe la vittoria della cultura della discriminazione. Infine, è quasi superfluo dire che tutti i concorrenti dovranno conseguire risultati di poco diversi: insomma tutti i centometristi dovranno arrivare, diciamo, entro gli otto e i dieci secondi. Diversamente, anche questo sarebbe un segno di fallimento. anche auspicabile che questa visione si estenda ad ogni ambito. Per esempio, i campionati del mondo di calcio dovrebbero concludersi con un vincitore che prevalga di poco e le eliminazioni ridursi a casi clamorosi di acclarata incapacità.
Immaginate che noia mortale sarebbero competizioni sportive del genere. Ma questa non è del tutto una fantasia. Difatti, pare che vi sia un caso (uno soltanto) in cui è consentito un modo di ragionare del genere: quello della scuola. Anche i fautori del più sfrenato spirito concorrenziale, secondo cui l’efficienza si raggiunge mettendo in competizione persone e strutture affinché prevalga il migliore, quando si parla di scuola ragionano sulla base di un’immagine fuori del mondo, in cui tutti debbono diventare capaci allo stesso livello. Per loro se i bocciati superano una frazione minima degli studenti e se i voti massimi non si estendono alla quasi totalità, è la scuola che ha fallito. Insomma, quasi nessuno deve essere eliminato. Passi pure che coloro che percorrono i 100 metri piani in 10 secondi siano una minoranza (non troppo esigua, per carità); il resto dell’umanità scolare deve percorrerli in 8 o 9 secondi. E non vale dire che il nostro esempio non funziona perché la scuola non è un sistema agonistico elitario. Ad esempio, i corsi di atletica della Federazione italiana di Atletica leggera sono una efficace scuola di educazione motoria che coinvolge migliaia di ragazzi perché pongono al centro il desiderio di essere il migliore, di avere successo, di salire sul podio e conquistare una medaglia o un diploma. Dovremmo forse credere che soltanto l’educazione intellettuale sia una sorta di genere di sussistenza dozzinale da distribuire e assimilare senza entusiasmo e voglia di primeggiare?
Quando ancora le riforme ”moderne” dei sistemi scolastici erano agli inizi, Hannah Arendt già denunciava la tendenza a «mettere del tutto da parte ogni regola di sano giudizio umano, per amore di certe teorie, buone o cattive che fossero», il che è quanto dire la perversione dell’ideologia. Da quel momento il vizio di mettere da parte il buon senso quando si parla di istruzione ci perseguita.
Che cosa ci hanno offerto, in fin dei conti, i risultati degli esami di maturità? Un aumento modestissimo dei respinti dal 2,5 al 3,1 %, e una diminuzione dei voti dei promossi. Quest’ultimo è forse il dato più significativo. Ma pensate un po’ si tratta del fatto che il 0,9% dei promossi con 100 si è dimezzato ed è diminuito il numero di quelli che ha conseguito un voto tra 91 e 99. Si direbbe un puro e semplice ritorno alla realtà, ma per qualcuno questo è il sintomo drammatico di un insuccesso della scuola. Certi giornali intervistano solo i genitori che lamentano un esame molto più severo che non ”ai tempi lor” (roba da sbellicarsi dalle risate) e non quei genitori che sono stufi di pagelle che attribuiscono un nove in matematica a scolari che credono che 6 più 2 fa 62.
In verità questa inversione di tendenza nelle valutazioni è positiva perché indica che la scuola, per quanto profondamente malata, non è defunta e reagisce, tentando di recuperare quei livelli minimi di dignità che danno senso all’istituzione. Poi, certo, resta tutto da ricostruire. Ma alla larga da chi adotta il solito procedimento di cambiare discorso per dire che occorre ”ben altro”: non maggiore rigore ma controllo e valutazione dei docenti. Ben vengano presto e bene controllo e valutazione, ma non per contrabbandare l’idea che l’unico dovere in campo sia quello che la scuola faccia conseguire a tutti i costi allo studente quella cosa ridicolmente chiamata ”successo educativo”; e che gli unici chiamati a rendere conto del mancato ”successo educativo” siano gli insegnanti.
In verità, in questi primi sussulti di ripresa di serietà scolastica i veri bocciati non sono gli studenti ma quei riformatori, didatti e pedagoghi che hanno ridotto la scuola in queste condizioni e che ora si stracciano le vesti vedendo messe in discussione le loro fallimentari ricette. La loro bocciatura è tutta scritta nei commenti che sono comparsi in questi giorni, vera e propria raccolta di assurdità logiche e fattuali spesso esposte in pessimo italiano, da bocciatura, per l’appunto. Abbiamo letto commenti di ”esperti scolastici” che lanciano il solito anatema contro la scuola ”gentiliana” un bersaglio facile perché non esiste più che si nutrono della contrapposizione tra ”vecchio” e ”nuovo”, abusano dei termini ”altro”, ”diverso” sempre buoni per atteggiarsi a ”giovani” e ”moderni” e di un gergo pedagogico di infima qualità; ma non saprebbero dire una parola su come proporre un programma decente di matematica o di storia. Parlano di nuove generazioni che seguirebbero procedimenti mentali associativi anziché deduttivi, il che, se avesse un senso, somiglia a un insulto. Ammettono che i giovani hanno minori capacità di concentrazione, e questa caratteristica, che dovrebbe essere l’espressione di un vero insuccesso educativo, la esaltano come una qualità ”diversa” e persino superiore... Poi propongono la solita tiritera sul computer che manca sui nostri banchi e non mancherebbe all’estero magari in scuole peggiori della nostra in un mondo in cui tutti scrivono e pensano soltanto digitando. Chiunque abbia avuto la ventura di scrivere qualcosa di minimamente strutturato non dico un libro, ma una composizione di minima organicità o anche un tentativo di risoluzione di un problema matematico per quanto abituato a digitare da mane a sera non ha mai potuto evitare di tracciare uno schema su un foglio con quella rapidità e duttilità che soltanto la penna e la carta offrono. Ma i ”maestri” e i ”riformatori” della scuola italiana invitano a pensare digitando. Da loro non abbiamo sentito un solo commento sensato sul contenuto dei temi di maturità di quest’anno, mentre sono stati alcuni non addetti ai lavori soprattutto giornalisti a rilevare in modo perspicuo che essi contenevano novità di tutto rispetto. Insomma, il vero fatto nuovo di quest’anno sempre più chiaro a un numero crescente di professori, di famiglie e anche di studenti è che i veri bocciati sono coloro che si stracciano le vesti per l’aumento delle bocciature e che sono gli autori della catastrofe cui si tenta tanto faticosamente di porre riparo.