Marco Damilano, L’Espresso, 23 luglio 2009, 23 luglio 2009
MARCO DAMILANO PER L’ESPRESSO 23 LUGLIO 2009
La calda estate del Cavaliere La sentenza sul lodo Alfano. L’emergenza economica. Il gelo col Vaticano. Per il premier un percorso in salita. E un imperativo: far dimenticare gli scandali
La nomina è diventata operativa poco più di un mese fa, il 4 giugno. "Il dottor Alessio Quaranta è il nuovo Direttore generale dell’Enac nominato con decreto del presidente del Consiglio come previsto dalla legge istitutiva dell’ente", recita il comunicato dell’ente che vigila sull’aviazione civile. Curiosamente, però, del decreto di nomina non si trova traccia tra i comunicati ufficiali del Consiglio dei ministri e sul sito del governo. Peccato, perché il dottor Quaranta avrebbe tutti i requisiti per essere chiamato all’importante incarico, in sostituzione del suo predecessore Silvano Manera: una carriera tutta all’interno dell’Enac, da direttore della regolazione economica alla guida dell’ufficio relazioni internazionali. In più, cosa che non guasta, è figlio del consigliere di Stato Alfonso Quaranta, dal 2004 giudice della Corte costituzionale: una delle 15 toghe che sarano chiamate il prossimo 6 ottobre a sentenziare sulla costituzionalità o meno del lodo Alfano che garantisce l’immunità dai processi al presidente del governo cui si deve, tra l’altro, la nomina di Quaranta junior. Motivi di opportunità avrebbero potuto consigliare di soprassedere o rimandare, magari. Ma nelle stesse settimane il galateo istituzionale aveva già subito un altro pesante strappo, la cena rivelata da "L’espresso" in cui altri due giudici costituzionali, Luigi Mazzella e Paolo Maria Napolitano, si sono accomodati con Berlusconi, ufficialmente per discutere di riforma della giustizia. Con all’ordine del giorno l’abolizione dei pubblici ministeri e la nascita di un nuovo Consiglio superiore della magistratura. Presente anche il ministro Angelino Alfano, l’autore del lodo che protegge il premier dai processi.
Spenti i riflettori del G8, l’attenzione del Cavaliere ritorna all’ossessione di sempre: la giustizia, la magistratura da riportare sotto il controllo della politica, i processi da disinnescare. La legge sulle intercettazioni in commissione al Senato, destinata nei piani del governo a rapida approvazione prima della pausa estiva con relativo voto di fiducia, per ora è stata bloccata da un intervento del Quirinale, ma lo scontro è solo rinviato a settembre. Intanto, gli uffici del Ministero di largo Arenula stanno mettendo a punto il progetto di riforma del Csm. E anche in questo caso le tensioni con l’ordine giudiziario sono garantite.
E sì che nell’agenda d’estate del governo non mancherebbero capitoli più urgenti. La missione in Afghanistan, dopo l’attentato del 14 luglio in cui ha perso la vita il caporalmaggiore Alessandro Di Lisio. "La missione deve proseguire", ha subito esternato il premier, nelle stesse ore in cui a Washington l’amministrazione Obama si interrogava sulle possibile exit strategy. E poi l’emergenza economica, certificata perfino dal Dpef, il documento di programmazione economica presentato dal ministro Giulio Tremonti, "sarà l’ultimo, dall’anno prossimo si cambia". Nonostante l’accento messo sugli spiragli di ripresa nel 2010, il governo mette nero su bianco il Pil a meno 5,2 per cento, il debito record, il calo delle entrate fiscali rispetto ai primi cinque mesi del 2008, quando governava ancora Romano Prodi e sul fisco vigilava Vincenzo Visco. Contromossa tremontiana, lo scudo fiscale, la sanatoria con cui il ministro dell’Economia punta a un gettito di 3-5 miliardi di euro. Sul fisco si consuma l’ultima puntata della guerra sorda che contrappone da mesi il ministero di via XX settembre e Banca d’Italia, ovvero Tremonti e il governatore Mario Draghi. Uno scontro combattuto con il freddo linguaggio delle cifre, comunicati, analisi, interpretazioni, puntualizzazioni che nascondono ben più roventi distanze di valutazione sull’entità della crisi e sul modo di uscirne. A smentire l’ottimismo del governo, d’altra parte, non c’è solo la Banca d’Italia. Mentre Tremonti incontrava Confindustria e sindacati, martedì 14 luglio, è tornato a farsi sentire monsignor Mariano Crociata, il numero due della Cei, lo stesso che alla vigilia del G8 aveva tuonato contro il "libertinaggio" esibito in pubblico, chiara allusione ai festini di casa Berlusconi. Questa volta il vescovo siciliano ha puntato il dito sulle conseguenze sociali della recessione: "La crisi persiste e rischia di avere nei prossimi mesi il suo punto più critico. Il lavoro che già prima era precario, ora lo è di più. E non poche famiglie sono già entrate in una fase critica con ripercussioni gravi sul fronte degli affitti, dei mutui, dei debiti". Parole severe accompagnate da un significativo elogio per l’operato del governatore Draghi. E dire che Tremonti aveva appena finito di vantare la sintonia tra le conclusioni del G8 e l’enciclica sociale di papa Benedetto XVI.
La Chiesa, il mondo cattolico, continua a essere il fronte scoperto del rapporto tra il governo Berlusconi e l’opinione pubblica. E non basta accelerare l’approvazione della legge sul testamento biologico, molto gradita alle gerarchie ecclesiastiche, per recuperare la benedizione del Vaticano. Prima di tutto, perché l’accelerazione, in realtà, non c’è. A bloccarla è stato il presidente della Camera Gianfranco Fini, che non ha mai nascosto le sue perplessità sul testo restrittivo uscito dal Senato: "Nel merito avrei molto da dire", si è limitato a dichiarare il primo inquilino di Montecitorio annunciando che se ne riparlerà dopo l’estate. Come per il disegno di legge sulle intercettazioni, impantanato al Senato, anche per il bio-testamento si annuncia una vita parlamentare travagliata. E poi c’è il timore di Cei e Vaticano di non identificarsi totalmente con un personaggio come Berlusconi, condiviso perfino dai prelati più schierati con il centrodestra. "La Chiesa spagnola a distanza di decenni sta ancora pagando un prezzo altissimo per il suo appiattimento su Franco", spiega un monsignore: "E sul piano privato era un timorato di Dio, con l’immagine di santa Teresa d’Avila sulla scrivania".
Sarebbe troppo chiedere al Cavaliere di mettere i santini sul comodino di palazzo Grazioli per recuperare credito. Ma l’operazione sobrietà, a questo punto, si impone. Inaugurata durante la tre giorni dell’Aquila, le passeggiate dei grandi della Terra tra le macerie del capoluogo abruzzese, con la promessa del premier di passare il mese di agosto accanto agli sfollati. Un’estare pauperista e di lavoro, lontano dai complotti a mezzo stampa, dalle congiure di palazzo, dagli alleati poco affidabili, da escort e veline. Il dramma del terremoto, per il Cavaliere, coincide in fondo con il momento più felice dei suoi 15 mesi di palazzo Chigi. Le icone mediatiche che preferisce. Il presidente di tutti gli italiani vicino al popolo che soffre. Lo statista internazionale accolto nel club più esclusivo dei potenti del mondo. Ricominciare dall’Aquila per far dimenticare le tante riforme non realizzate, il piano casa che non c’è, e le domande imbarazzanti rilanciate perfino dai bollettini diocesani e parrocchiali. In attesa del risveglio autunnale: crisi economica e sentenza della Corte sul lodo Alfano, che brutta ripresa. Il dottor Quaranta, intanto, ringrazia.