Sandro Modeo, Corriere della sera 16/7/2009, 16 luglio 2009
LA CONSAPEVOLEZZA DELL’ORCHIDEA
I nuovi significati biologici dei concetti classici di intelligenza e memoria
Spesso, nella Recherche, Proust accosta biologia umana e botanica. In Sodoma e Gomorra, per esempio, Jupien – nel suo rapporto con Charlus – viene assimilato a certi «fiori compositi» come l’ermafrodita Lythrum salicaria; e nel Tempo ritrovato il «gioco delle diverse leggi psicologiche », che si compensano tra loro nella «fioritura della specie umana», viene equiparato alla «saggezza» dei fiori stessi, che «regola i modi di fecondazione opponendoli gli uni agli altri». In questi paralleli – dovuti a una lettura attenta del Darwin minore, in particolare degli scritti sulle orchidee – Proust evita sia di umanizzare le piante, sia di semplificare la complessità psicologica dell’uomo. Sembra premergli – semmai – la ricerca dei processi profondi estesi a tutto il vivente, di quel comune nucleo radiale con cui ogni forma conquista il suo spazio e il suo senso nell’ambiente circostante.
Le piante e i fiori – che proprio Darwin esaltava «nella scala degli esseri organizzati» – vengono invece di solito rimossi, nonostante il loro percorso evolutivo sia decisivo per le altre specie. Ma ora due libri, uno appena uscito e dedicato all’evoluzione dei viventi nell’insieme ( Storia della vita sulla terra del paleontologo della Sapienza Raffaele Sardella) e uno appena riproposto ( La botanica del desiderio, del giornalista scientifico Michael Pollan), ci permettono di rimediare a quella rimozione e di risalire fino ai primi passi di quel percorso, in cui ogni passaggio-chiave segna uno specifico aspetto adattativo della biologia vegetale.
Il primo è quello delle stromatoliti, «sfingi » stratificate in cui un sedimento laminato è sormontato da organismi fotosintetici (cianobatteri o microalghe): il loro tracollo, 2 miliardi di anni fa (per via di brucatori ghiotti delle lamine) ci ricorda come una delle strategie di sopravvivenza delle piante consista nel respingere gli assalti dei predatori, cioè nel secernere antibatteri contro gli agenti patogeni o sostanze contro l’insetto aggressore: nicotina per paralizzarlo, caffeina o flavonoidi per inibirne l’appetito, stramonio per farlo «impazzire ».
Il secondo passaggio è il rovescio del primo. Culmine di una lunghissima «colonizzazione » delle terre emerse (avvenuta col diffondersi di felci arcaiche e con il forgiarsi di fusti a sistema vascolare per sostenere la massa biologica nell’aria) ecco l’erompere improvviso – 100 milioni di anni fa, nel pieno del Cretaceo – delle angiosperme: ovvero il trapasso dal paesaggio grigio dominato dai rettili a quello violentemente multicromatico e profumato delle piante con fiori e frutti. Il loro processo co-evolutivo con insetti e uccelli – il contratto che prevede fornitura di cibo in cambio della diffusione del polline e dei semi, cioè del DNA – ci ricorda come l’altra strategia delle piante sia quella di attrarre, non respingere specie diverse. Gli esiti sono stupefacenti, con specializzazioni estreme (certi motivi simmetrici tracciati «solo» per le api o i bombi) o vertiginosi mimetismi sessuali (l’orchidea Orphys che si plasma a femmina d’insetto di spalle, pronta per il rapporto).
Il terzo passaggio ci porta all’estinzione di 65 milioni di anni fa. Per l’impatto di un asteroide o in seguito a eruzioni vulcaniche, il cielo si oscura inibendo la fotosintesi e uccidendo gli erbivori: conseguenza, la catena alimentare si spezza, e il 75% dei viventi si estingue. Ma subito dopo, l’ecosistema si ripristina anche grazie alla «rinascita» vegetale, nei mari e sulla terra: le praterie eurasiatiche, per esempio, si popolano di cavalli. Il che ci ricorda quanto le piante possano adeguare il ventaglio adattativo a pressioni opposte: in acqua, producendo tessuti aeriferi per aumentare l’ossigenazione; in contesti secchi, al contrario, rivestendosi di pelo per attenuare la traspirazione; e verso la luce, graduando i pigmenti di assorbimento secondo le lunghezze d’onda (i colori) dello spettro.
proprio questa plasticità ad aver riaperto la discussione sulla presunta «intelligenza» o «memoria» o «coscienza» delle piante, anche per le acquisizioni recenti. Ricercatori tedeschi di Bayreuth hanno scoperto in una pianta ecuadoriana una sistematica propensione all’inganno: riducendo la fotosintesi, macula di bianco le proprie foglie, che appaiono così ai predatori (larve di farfalle) malate o meglio «già consumate». Mentre su uno degli ultimi numeri di «ScienceNews» (articolo di Susan Milius) alcuni tra i maggiori biologi delle piante ne evidenziano certi tratti «animali», come la velocità di movimento e di predazione (con una pulce d’acqua catturata in 30 millisecondi) e soprattutto le facoltà comunicative di «scariche chimiche» a base di metaboliti secondari, cioè di composti non necessari alla crescita o allo sviluppo. Grazie a tali composti, le piante arrivano a elaborare raffinati schemi strategici: a territorializzare la propria espansione attraverso le radici, a volte difendendosi da invasori come la Centaurea Nera; a convocare con «grida» chimiche i predatori dei propri predatori (insetti che si nutrono di bruchi), spesso con richiami altamente specializzati, come abbiamo già visto per le simmetrie di seduzione; e a far tesoro di attacchi esterni, come il gelso bianco che – aggredito – riesce ad «allertare» le foglie intonse.
sufficiente tutto questo per poter estendere alle piante la consapevolezza, il linguaggio e la memoria? Per alcuni è lecito parlare di «neurobiologia delle piante», anche per la loro attività elettrica e la presenza di neurotrasmettitori (acetilcolina o serotonina) condivisi con le specie animali; per altri tutto questo è solo spazzatura. Forse ha ragione Anthony Trewavas, una delle massime autorità del campo (Università di Edimburgo) quando parla di «abilità di auto-riconoscimento» e di «intelligenza » in un’accezione allargata, estesa a tutta la vita biologica.
Quanto all’auto-riconoscimento, forse si può parlare di una discriminazione tra il «self» e il «not self» simile a quella del nostro sistema immunitario, con gli anticorpi che distinguono gli invasori patogeni rispetto alle cellule del nostro corpo. Quanto all’intelligenza della vita, è un’idea ben espressa a suo tempo da Konrad Lorenz, che vedeva una continuità tra il paramecio che impara a evitare l’ostacolo e la nostra capacità di formulare teorie sull’universo.
In fondo, è anche l’idea implicita nei paralleli proustiani. L’impulso adattativo è sempre una forma di conoscenza, dal protendersi delle piante e dei fiori in ogni direzione (verso l’acqua o la luce) alle funzioni più complesse del cervello umano. Nella «scala degli esseri organizzati», ogni gradino ha una propria, unica prospettiva sul paesaggio; senza dimenticare che – come tutti gli altri gradini – è parte del paesaggio stesso.