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 2009  luglio 16 Giovedì calendario

I SOPRAVVISSUTI AGLI SQUALI «SONO A RISCHIO, SALVATELI»


Appello al Congresso Usa: misure contro la pesca

NEW YORK – L’incontro ravvicinato tra Chuck Anderson e lo squalo toro è av­venuto nel giugno del 2000. Mentre il 54enne allenatore sportivo stava nuotan­do nelle acque calde del Golfo del Messi­co, al largo delle coste dell’Alabama, un terrificante pescecane di oltre due metri gli è spuntato da sotto, divorandogli quattro dita della mano sinistra e strap­pandogli il braccio destro fino al gomito. Nove anni esatti dopo l’attacco che ha rischiato di ucciderlo, Anderson ieri ha testimoniato di fronte al Congresso ame­ricano, invocando nuove misure restritti­ve contro la pesca allo squalo, un pesce oggi a rischio di estinzione. Non è il solo. Insieme ad Anderson a Capitol Hill c’era un gruppo di ben nove sopravvissu­ti all’attacco dei predatori dei mari, accor­si da ogni angolo del Paese per perorare la stessa causa.

«Il più grande raduno di sopravvissuti agli squali della storia», lo ribattezza il Washington Post, ironizzando sulla natu­ra «bizzarra» di questa nuovissima lob­by. Qualche Sigmund Freud della dome­nica potrebbe essere tentato di attribuire l’insolita crociata alla Sindrome di Stoc­colma, la condizione psicologica nella quale una persona vittima di una violen­za s’innamora del proprio carnefice.

Ma il 52enne Al Brenneka, cui uno squalo limone ha portato via il braccio destro nel 1976, la pensa diversamente. «Se persino noi chiediamo di salvare i pe­scecani dall’estinzione – teorizza ”, al­lora proprio tutti possono e debbono far­lo ». E aggiunge: «Finalmente qualcuno ci ascolta». La loro crociata, spiega Bren­neka, è di natura ambientalista, «perché gli squali hanno molto più da temere dal­l’uomo di quanto l’uomo non abbia da te­mere dagli squali».

Secondo l’Unione mondiale per la con­servazione della natura, il 32% degli squa­li che vivono in mare aperto oggi è a ri­schio.

La sparizione di questi predatori, met­tono in guardia gli addetti ai lavori, pro­vocherebbe conseguenze disastrose nel­l’ecosistema oceanico. Eppure secondo l’International Shark Attack File gli attac­chi degli squali sono rarissimi in Usa, con una media di 43 all’anno dal 2000. La probabilità di essere aggrediti è una su 11,5 milioni.

Al contrario, molte specie sono state decimate per finire sui nostri piatti. La zuppa ricavata dalle pinne di squalo è considerata una prelibatezza in diversi paesi dell’Asia. Per non parlare poi di mi­lioni di esemplari che finiscono acciden­talmente nelle reti sistemate da pescatori per catturare tonni e marlin.

A incoraggiare la riunione delle vitti­me è stata Debbie Salamone, un’ambien­talista che lavora per il gruppo non profit Pew Environment Group, anche lei vitti­ma di uno squalo che le ha strappato il tendine di Achille di un piede. «Ho fatto un giro di telefonate tra persone assalite in passato – spiega la donna al Post ”. Solo due di loro hanno respinto la mia of­ferta ». In comune, i nove superstiti di Washington dicono di nutrire un senso di protezione e persino ammirazione nei confronti di questi animali predatori. «Gli squali sono feroci e implacabili – dice Anderson ”. Ma non è colpa loro: è la loro natura». «Siamo contrari al depin­namento degli squali perché anche noi siamo stati depinnati», lo incalza il biolo­go marino Mike deGruy, un altro soprav­vissuto.

Nel 1978, mentre nuotava nell’Oceano Pacifico, è stato attaccato da uno squalo grigio. «Ho annaspato per 25 minuti in acque infestate di squali mentre conti­nuavo a spargere sangue – ricorda lo scienziato – e non riesco ancora oggi a capire perché gli altri squali non mi ab­biano divorato: ero un’esca vivente».