Gianni Trovati, Il sole 24 ore 15/7/2009, 15 luglio 2009
QUATTROMILA ESPERTI DI CINA
Pronti i laureati in grado di gestire 38 intese commerciali per 2 miliardi di dollari - LA TENDENZA - Con i corsi tradizionali aumentano i percorsi di specializzazione nati da iniziative degli studenti o in sinergia con le imprese - GLI INTERVENTI - Cammelli (Almalaurea): «Accanto alle università anche il Governo si deve impegnare con incentivi alle aziende che investono»
MILANO.
Ci sono 38 accordi commerciali per oltre 2 miliardi di dollari da far viaggiare. C’è l’«evento storico» (parola del presidente di Confindustria Emma Marcegaglia) che li ha creati, il Forum Italia-Cina che si è tenuto la scorsa settimana a Roma, da trasformare in attività quotidiana. E soprattutto ci sono migliaia di aziende italiane piccole e medie che in Cina stanno trovando, o potrebbero trovare a breve, una nuova strada per crescere e lasciarsi alle spalle il dibattito domestico sulla crisi.
A loro l’università italiana inizia a offrire una avanguardia di laureati con le competenze giuste per fare il salto a Est. AlmaLaurea, che raccoglie ormai più di 1,2 milioni di curricula dei laureati nelle 53 università del consorzio, custodisce le storie di 3.700 laureati italiani che conoscono a menadito gli ideogrammi, ma anche gli strumenti manageriali per entrare nel grande gioco del Pil in mandarino. Sono giovani come Sebastian Tommaso Magrin, 27 anni, laurea in agronomia a Padova e corso di cinese commerciale a Pechino, che da un anno e mezzo fa la spola fra Breganze (meno di 9mila anime in provincia di Vicenza) e la Cina, dove ha battezzato e sta sviluppando la rete commerciale Meccanica Breganzese, del gruppo Faresin. «Qui le prospettive restano ottime – spiega – e le aziende italiane hanno bisogno di competenze per sfruttarle meglio».
I corsi di cinese, però, Magrin se li è pagati da solo, sia quelli iniziali in Italia sia quello specialistico a Pechino. Perché per l’università italiana questa è ancora una nuova frontiera, e i primi passi fuori dal recinto tradizionale della laurea in lingue orientali nascono più per iniziativa degli studenti che per progetti dell’accademia. O per un matrimonio fra questi due fattori, come mostra l’esperienza di Marco Pennacchietti, 27 anni e laurea in comunicazione d’impresa alla Sapienza, che ha "tradotto" in cinese l’opportunità resa disponibile dal progetto «Tesi all’estero» dell’ateneo romano. Pennacchietti è stato undici mesi a Pechino per studiare le strategie pubblicitarie con cui le aziende occidentali si fanno largo nel mercato cinese, ma già che c’era si è iscritto alla Beijing Foreign Studies University per imparare meglio la lingua. Lì ha incontrato colleghi spagnoli, tedeschi, francesi, «che in genere hanno competenze più integrate perché sono ingegneri o economisti che poi studiano il cinese. Gli italiani sono più spesso laureati in lingue orientali, che non hanno competenze specifiche per il business, e anche le borse di studio ministeriali assecondano questa tendenza. Io stesso non mi sono visto riconoscere alcuni esami di cinese».
Qualcosa però si muove, come dimostrano i 1.300 ingegneri, economisti e giuristi con il curriculum rivolto verso Oriente. «Ma accanto alle università – sottolinea Andrea Cammelli, presidente di AlmaLaurea – si deve impegnare anche il governo con incentivi alle imprese che investono nel capitale umano, per non condannarle a una condizione di minorità quando si uscirà dalla crisi».
Per chi guarda all’Oriente «le prospettive continuano a essere eccezionali – conferma Gianluca Accardo, 26 anni e laurea in disegno industriale a Genova ”. Chi ha voglia di fare non ha problemi, tutte le porte sono aperte, e per gli occidentali che vengono qui gli stipendi sono piuttosto alti». Accardo segue dalla Cina la produzione e la vendita di attrezzature di protezione per i cavi delle pompe sotterranee nei pozzi di petrolio, e avverte che «la distanza di competenze fra noi e i cinesi si sta assottigliando rapidamente, ma l’aiuto occidentale resta imprescindibile».
Un aiuto che si misura in termini di «fantasia e competenza»; a proporre il binomio è Isabella Vettolani (27 anni, laurea in ingegneria gestionale e Mba con seminari sul business in Asia, tutto all’Università di Bologna), che segue lo sviluppo cinese della Ima, azienda costruttrice di macchine automatiche per la produzione e il packaging di farmaci. «Vivo a Bologna, ma passo 4-5 mesi all’anno nello Shandong, a sud di Pechino, un’area interessata da uno sviluppo sfrenato». Certo, il "pendolarismo" con la Cina non è pratica semplicissima, «i rapporti personali e professionali sono complicati e non vedere il sole per mesi può non essere piacevole». Ma «la corsa delle opportunità senza sosta» vale la candela, e non solo per tecnici o laureati in economia. Anna Zanoli è laureata in lingue e letterature straniere e lavora a Polonews (www.polonews.it), un sito che traduce i quotidiani cinesi e offre una visione di prima mano su che cosa succede nel paese. «I nostri utenti sono studenti, professori, giornalisti ma anche imprese, che hanno bisogno di una conoscenza non mediata per prendere le decisioni migliori».
Simona Novaretti invece ha 40 anni, e dopo una laurea in lingue orientali a Venezia (nel 1994), svariate esperienze cinesi, e una in giurisprudenza a Torino (nel 2007) sta svolgendo un dottorato in diritto cinese e conta di aprire uno studio legale in loco per lavorare con i colleghi cinesi. «Le competenze linguistiche – conferma – sono importanti ma non bastano, e servirebbe una formazione più integrata. Se ci fosse stata non ci avrei messo così tanto a trovare la mia strada».