Isabella Bufacchi, Il sole 24 ore 15/7/2009, 15 luglio 2009
COM’E’ DIFFICLE INCASTRARE IL TRADER
L’OPINIONE - L’organo di controllo alza bandiera bianca sugli effetti dei derivati Il Wall Street Journal: «Non sparate su chi specula»
L’organo di controllo americano per i contratti derivati futures sulle commodities CFTC (Commodity futures trading commission) è impegnato da anni nella raccolta di dati statistici e nel monitoraggio delle oscillazioni dei prezzi dei contratti derivati negoziati in Borsa, per cogliere gli speculatori con "le mani nella marmellata": dimostrare, con inconfutabile evidenza empirica, che esiste una correlazione certa, diretta e negativa tra la speculazione (l’opposto della copertura) e la violenza delle oscillazioni delle quotazioni di alcune materie prime, soprattutto il petrolio, senza che queste abbiano alcun collegamento con gli squilibri tra la domanda e l’offerta sul bene fisico. Ma questa prova schiacciante, che metterebbe gli speculatori con le spalle al muro una volta per tutte, ad oggi non è ancora saltata fuori.
Come ha ricordato il Wall street journal nell’edizione dello scorso martedì in un editoriale intitolato "Non sparate sugli speculatori", la CFTC ha messo agli atti lo scorso autunno un rapporto esaustivo concludendo che non è stata colpa degli speculatori se i prezzi del petrolio sono schizzati a quota 145 dollari al barile nell’estate del 2008. Questo studio autorevole è ancora oggi citato come un testo sacro dai sostenitori della ruolo benefico della speculazione, che non solo aumenta la liquidità, ma facilita gli scambi e abbassa il costo delle operazioni di copertura perchè fa entrare in gioco posizioni controcorrente rispetto a quelle di protezione o hedge (si veda il Sole 24 Ore dell’11 luglio). All’epoca del maxi-rapporto CFTC sul ruolo o non ruolo della speculazione, il dibattito era molto più acceso di quanto non lo sia in questi giorni, ora che i prezzi del petrolio sono "solo" raddoppiati da 34 a 70 dollari. Nell’estate del 2008 il Giappone si era spinto a sostenere che quando il West Texas Intermediate Crude viaggiava a quota 90, 40 dollari al barile erano dovuti alla speculazione. Arabia Saudita e Qatar invece sostenevano che la domanda mondiale di petrolio sarebbe cresciuta dell’1,2% tra il 2007 e il 2008 e questo non spiegava un prezzo del greggio schizzato del 50% nei primi sei mesi del 2008. I militanti più convinti nella lotta contro la speculazione al Congresso Usa sono convinti che i contratti oil futures siano dominati dalle compravendite speculative degli investitori istituzionali (tra i quali fondi pensione e fondi sovrani) e degli speculatori come gli hedge fund.
E la relazione ieri del presidente dell’Autorità per l’energia Alessandro Ortis va in questa direzione, nel solco già tracciato a livello politico dal ministro dell’Economia Giulio Tremonti e dal presidente del consiglio Silvio Berlusconi. La speculazione, è questa la tesi prevalente tra chi la vorrebbe domare, esiste ed è visibile a occhio nudo perchè gli enormi flussi degli investimenti finanziari che si riversano sul mondo delle commodities tramite i futures, gli swap e i prodotti indicizzati sono facilmente rintracciabili. E la volatilità la fa da padrona.
Chi difende la speculazione ha tuttavia un arsenale altrettanto munito di munizioni. I flussi speculativi sono sì ingenti nelle commodities ma non è provato che queste posizioni danneggino per il mercato, facendo salire le quotazioni quando dovrebbero scendere o viceversa e sostenendo i prezzi su livelli lontani dai fondamentali dettati dalla domanda e dall’offerta. Viene rilevato che quando i flussi finanziari speculativi erano meno importanti di oggi, nel 2006 i prezzi dello zucchero salirono su livelli drammatici e nel 2004 i semi di soia vissero un’esperienza da bolla speculativa, senza speculazione. C’è anche chi si è spinto a sostenere che un aumento dell’86% dei flussi finanziari nelle commodities anno su anno ha coinciso con un calo dei prezzi del 60 per cento.