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 2009  luglio 14 Martedì calendario

IL SUD FARA’ GRANDE IL NORD


Migrano i migliori giovani meridionali e gli atenei settentrionali brillano - CIRCOLO VIZIOSO - Fienga: nel Mezzogiorno le tasse vengono tenute basse per trattenere gli studenti, ma così diminuiscono le risorse alle facoltà per didattica e ricerca

A Foggia si laureano in corso tre studenti ogni mille, a Modena lo stesso "evento" ha una frequenza cento volte superiore. A Bari un iscritto su quattro ha passato un anno intero senza affacciarsi in un’aula di esame, a Brescia gli studenti così "parcheggiati" sono il 70% in meno.
Il rosario degli indicatori che separano le università meridionali da quelle del Nord potrebbe continuare a lungo, e puntare, ad esempio, sulla ricerca (all’Orientale di Napoli ogni docente può disporre di meno di 5 euro all’anno, in Piemonte la dote media è sette volte superiore) o sui tassi di occupazione. Il problema, però, è un altro, e cioè che la distanza fra Nord e Sud è in netto aumento. Il dato emerge dai 10 indicatori della qualità universitaria messi in fila, come ogni anno, sul Sole 24 Ore di ieri. Le classifiche misurano i risultati della didattica (oltre ai parametri citati sopra guardano anche alla capacità di attrarre studenti da lontano e quelli con i voti migliori alla maturità, e di evitare gli abbandoni prima della laurea) e della ricerca, e i numeri sono chiari: le università meridionali si concentrano sempre di più in fondo alla classifica, e le eccezioni sono sempre meno: solo il Politecnico di Bari e l’università della Calabria riescono a entrare tra i primi 25. Come mai?
Ad allargare la forbice sono una serie di circoli viziosi che spingono in basso chi già fatica. Il primo può essere individuato nell’emigrazione, con le frotte crescenti di studenti meridionali che si laureano al Nord. «Chi si sposta – riflette Pieluigi Celli, ad e direttore generale della Luiss di Roma – ha alle spalle famiglie più favorite, e tendenzialmente più attente al curriculum scolastico dei figli; spesso deve superare una selezione, quindi è più motivato della media, e per di più trova un’organizzazione universitaria migliore». La migrazione, insomma, sposta il migliore "capitale umano", impoverendo ulteriormente le regioni di provenienza. Proprio per contrastare questa conseguenza l’ateneo romano ha avviato il progetto per il "controesodo" (prime iniziative a Palermo, Reggio Calabria, Bari e Napoli), che insieme alle associazioni industriali locali assiste i giovani meridionali che dopo la laurea decidono di tornare a casa e magari avviare una start up.
Ma non è solo la «fuga dei talenti» a frenare il Sud. «Il fatto – sottolinea Domenico Cersosimo, economista, che all’università della Calabria insegna Economia applicata ed è vicepresidente della regione – è che in quelle zone il contesto non aiuta a produrre talenti. Dove la pressione delle imprese è alta, se un ateneo non soddisfa la domanda si crea un’immagine negativa. Al Sud, invece, la spinta è scarsa e gli studenti faticano a percepire l’importanza di laurearsi bene, nei tempi giusti, perché la speranza di ottenere i risultati dall’ impegno è bassa».
A questi fenomeni Guido Fiegna, del comitato nazionale di valutazione del sistema universitario, aggiunge un problema di risorse poco indagato. «Nelle università milanesi – spiega – le tasse universitarie oscillano fra i 1.000 e i 1.500 euro l’anno per studente, al Sud si paga la metà e anche meno, un po’ perché i redditi familiari sono inferiori e un po’ perché le università provano così a rallentare l’esodo. La distribuzione dei fondi statali, come sostengo da anni, dovrebbe considerare anche questo aspetto, che rappresenta un handicap per gli atenei».
Su fondi e governance universitaria l’autunno dovrebbe vedere l’esordio ufficiale del progetto di riforma governativo. Le novità riusciranno a cambiare il risultato della partita fra i territori? Alberto Abruzzese, sociologo approdato allo Iulm di Milano dopo una carriera accademica a Napoli e a Roma, è scettico. «I dati mostrano l’errore di fondo commesso finora dalle riforme universitarie, che disegnano un modello teorico inesistente e non tengono conto delle variabili territoriali. Se ci avessimo pensato prima non saremmo a questo punto, ma mi sembra che nemmeno le proposte di oggi cambino registro. La stessa enfasi sull’efficienza non centra il problema, perché a generare gli sprechi è soprattutto il mancato impegno a creare nei territori le precondizioni giuste per lo sviluppo della buona università». Più ottimista Celli, che basa le sue aspettative sul fatto che «la riforma apre la governance agli esterni e quindi alle forze dei territori, provando così a vincolare i finanziamenti al merito. Le resistenze sono molte, ma se questo schema riuscirà a passare i risultati potranno arrivare».