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 2009  luglio 16 Giovedì calendario

Un’icona gay? No, un fervido papista. I cattolici vogliono riprendersi Wilde Due giorni fa sull’Osservatore Romano è comparso un interessante articolo a firma di Andrea Monda su un libro presentato come illuminante su uno dei cattolici più controversi della letteratura inglese: Il ritratto di Oscar Wilde (Ancora, 208 pp

Un’icona gay? No, un fervido papista. I cattolici vogliono riprendersi Wilde Due giorni fa sull’Osservatore Romano è comparso un interessante articolo a firma di Andrea Monda su un libro presentato come illuminante su uno dei cattolici più controversi della letteratura inglese: Il ritratto di Oscar Wilde (Ancora, 208 pp., euro 14). Un’opera biografica dello studioso di cultura anglosassone Paolo Gulisano - dal titolo evidentemente speculare a quello di Dorian Gray - che cerca di far luce sui lati più oscuri dello scrittore dandy. Paradossalmente, non quelli più vittorianamente scandalosi, come le sue ferventi relazioni omosessuali, ma il suo rapporto con Dio e la religione cattolica. In realtà, il rapporto con il cattolicesimo è un lato non nascosto del prisma wildiano. Già ampiamente analizzato in altre circostanze. Basti ricordare l’opera di Joseph Pearce The Unmasking of Oscar Wilde - che sfatò alcune sfocature dell’Oscar Wilde di Ellmann - o lo stesso articolo di Antonio Spadaro sul gesuita La Civiltà Cattolica nel novembre del 2000 - e lo stesso Spadaro oggi ricorda la ricerca della verità di Wilde in un capitolo del suo ultimo L’altro fuoco (Jaca Book, 304 pp., euro 24). Ma la lettura dell’Osservatore romano suona come una radicale riabilitazione. Anche per liberare Wilde dall’associazione più ovvia dell’omosessuale martirizzato - quale, senza alcuna ombra di dubbio, è stato. Lo scrittore anglo-irlandese non è solo quello struggente del De Profundis, la lettera dedicata al suo amore Lord Alfred Douglas dal carcere di Reading, recitata da Benigni allo scorso festival di Sanremo. Struggente è stato anche il suo percorso religioso, spirituale, assetato di eternità, e sempre, enormemente frastagliato. Sin dall’infanzia, quando il piccolo Oscar venne battezzato clandestinamente con rito cattolico dalla madre - visto che il padre non ne voleva sapere di avere dei «papisti» in casa. Un incipit eloquente dell’oscillante rapporto di Wilde con la religione cattolica, cui ha avuto seguito la manifestazione di una spiritualità quasi innata nell’anima irlandese dello scrittore. Il padre, da giovane, lo fece trasferire dal Trinity College di Dublino alla protestante Oxford. Proprio per contrastare i suoi interessi e le letture dense di misticismo cattolico, tra cui quelle del cardinale anglicano, poi convertito papista, John Henry Newman. Il provvedimento ebbe i suoi effetti voluti. Almeno temporaneamente. L’Inghilterra e la sua cultura avevano sempre affascinato il giovane Wilde. E lo stesso matrimonio con Constance Mary Lloyd venne celebrato il 29 maggio 1884 con rito anglicano. In tutto questo, nella primavera del 1875 Wilde aderì anche alla massonica Loggia Apollo di Oxford - dopo la "Shakespeare" di Dublino. Una pratica scomunicata da Clemente XII nel 1738. Insomma, non si è fatto mancare nulla. Ma «il cattolicesimo è la sola religione in cui morirei», diceva Wilde. E, soprattutto, per lo scrittore irlandese, allora rinchiuso nel carcere di Reading, la religione di Roma era quella che lo «avrebbe guarito dalle degenerazioni». Perciò aveva «intenzione di esservi accolto al più presto» - non a caso scrisse la prima lettera post prigionia, il 18 maggio 1897, a un seminario gesuita di Londra. Un’intenzione rafforzata dall’incontro privato con Pio IX, nel 1877, che ricordava orgogliosamente con la massima «io non sono cattolico, sono semplicemente un acceso papista», termine scandaloso nel Vittorianesimo. Ma non sono mancate titubanze e coincidenze negative per il suo pieno concretizzarsi. Wilde in carcere leggeva avidamente Dante, la Bibbia, chiedeva a Lord Douglas libri su San Francesco d’Assisi. Tornato in libertà, assisteva abbastanza frequentemente a funzioni religiose cattoliche. Era circondato da convertiti papisti, o aspiranti tali - dal suo ammiratore concubino Robert Ross all’amante Lord Alfred Douglas, sino al secondogenito Vyvyan, diventato cattolico a 13 anni. Ma il passo finale arrivò solo in punto di morte, con un Wilde stremato dall’esperienza in carcere, in stato semicomatoso e in preda a deliri. Il 30 novembre 1900, il reverendo irlandese Cuthbert Dunne gli conferì i sacramenti cattolici al capezzale, prima di lasciarlo spirare con un rosario in mano. Nonostante l’ammaliante fascino del cattolicesimo, secondo molti Wilde non avrebbe probabilmente compiuto quest’ultimo piccolo grande passo, qualora fosse rimasto vivo, vegeto e in salute. Oscar era colui che dichiarava nei suoi indimenticabili aforismi: «La religione cattolica è soltanto per santi e peccatori. Per le persone rispettabili va benissimo quella anglicana». E Wilde, oltre all’innegabile ricerca dell’eternità e del divino facilmente rintracciabile nelle sue opere, era e rimane un eccezionale paradosso vivente. In vita e nella sua produzione letteraria. Il primo atto di L’importanza di chiamarsi Ernesto rappresenta l’eccezionale esempio di come una superficialità paradossale possa rappresentare una straordinaria intensità letteraria, sconosciuta ai più, che siano posteri o contemporanei. Wilde viveva e scriveva di paradossi. Non a caso, i suoi aforismi sono a volte più famosi delle opere maggiori. Così, paradossale e autentico, è il suo oscillare tra religione cattolica e anglicana, con un passaggio nella massoneria. La vita di Wilde è stata così umanamente poliedrica che l’unico modo per omaggiarla, nelle scuole e nelle università, è ricordarla sotto i suoi molteplici punti di vista. Il Wilde irlandese e il Wilde inglese, il Wilde cattolico e il Wilde massone, il Wilde etero e il Wilde gay. Senza ideali, né ideologie. «Gli ideali sono cose pericolose. Meglio la realtà: ferisce, ma vale di più», Oscar dixit.