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 2009  luglio 16 Giovedì calendario

«Il Pd è comunque destinato a estinguersi ma meglio D’Alema e Bersani dei loro rivali» - Con il necessario disincanto dell’osservatore, Luca Ricolfi ripassa le ultime stranezze del Pd: «Dopo la Vincenzi schierata con Marino c’è Burlando che apre a Beppe Grillo: si può parlare di caso ligure

«Il Pd è comunque destinato a estinguersi ma meglio D’Alema e Bersani dei loro rivali» - Con il necessario disincanto dell’osservatore, Luca Ricolfi ripassa le ultime stranezze del Pd: «Dopo la Vincenzi schierata con Marino c’è Burlando che apre a Beppe Grillo: si può parlare di caso ligure... ma se nel Pdl ci fossero le primarie e Grillo avesse provato a candidarsi lì, immagini cosa sarebbe successo: tutti avrebbero fatto quadrato per respingere l’assalto. Nel Pd invece ognuno fa per sé». E la tendenza suggerisce al sociologo la più sgradevole delle immagini, per un partito: « un circo». Dopo aver parlato per primo di sinistra antipatica Ricolfi dunque non esita ad assegnarle la categoria del ridicolo.Davanti a una sfida che si consuma tra gaffes e infingimenti il professore dell’università di Torino concede solo una previsione a mediolungo termine: «Tra quattro anni, quando si voterà di nuovo per le Politiche, non ci sarà lo schema di adesso con i due partiti e i loro due alleatini riottosi: sarà un quadro diverso e non è detto che il Pd, o quello che ne sarà sopravvissuto, ne risulti svantaggiato». Adesso però i democratici sembrano aver toccato il punto più basso del loro disfacimento: sono apparsi terribilmente vulnerabili di fronte alle minacce di Grillo, esprimono candidati "alternativi" scarsamente attrezzati come Marino, adottano come icona una dignitosa dirigente locale come la Serracchiani. Sono più smarriti del solito. Non so se questo è il momento peggiore, io li vedo smarriti da un bel po’ di tempo: erano così anche prima di nascere. C’era già sufficiente confusione nella Margherita e nei Ds, adesso le primarie fanno semplicemente emergere tutte le fragilità, sono l’occasione per mettere in luce che questo non è un partito. Ognuno gioca per conto proprio, cerca l’accordo con Marino se insegue il nuovismo, strizza l’occhio a Di Pietro se è più attratto dal populismo. È un circo. E devo dire che alla luce di tutto questo D’Alema, Bersani, lo stesso Fassino fanno un figurone. In che senso? Hanno una tenuta politica che ad altri manca. Penso alle cose cattive che si dicevano di D’Alema e le trovo sgangherate, anche un po’ opportunistiche. Perché si è arrivati a questo? Perché era troppo difficile trovare un’identità nuova o per la modestia della classe dirigente? Più la seconda che ha detto. Questi sono personaggi che hanno limiti intrinseci. Poi è vero che si sono sommate due culture illiberali. Ricordo cosa disse Michele Salvati al momento della fondazione: speriamo che ce la facciate, anche se tutto nasce come il legno storto dell’umanità. Ma anche con il difetto di origine una classe dirigente migliore forse avrebbe fatto qualcosa inpiù. A questo punto non resta che assistere al processo di implosione, attendere che la demografia faccia il suo corso. Lei dice "meglio D’Alema di chi ne parla male": quindi se vince Bersani le cose andranno diversamente? No. Chiunque vinca sono destinati a implodere. A meno che non compaia una figura di leader e un gruppo dirigente nuovi in grado di indicare la rotta. Con Bersani forse il processo si compirebbe un po’ più lentamente, ci sarebbe un po’ più di disciplina,di struttura. Ma poi non detto che il Pd abbia bisogno di questo. Cosa serve? Le idee. E non ne hanno. D’altra parte lei vede qualchedifferenza di contenuti tra i candidati? Cambia un po’ di etichetta. Appunto, ci sono al massimo differenze estetiche. Marino piace a Flores d’Arcais, ai nuovisti e ai girotondini, Bersani ai militanti del vecchio Pci, Franceschini un po’ agli uni un po’ agli altri. Ma non emergono posizioni distinte e riconoscibili, che so, sulle pensioni, o sul valore legale del titolo di studio. È un partito conservatore. Sulle dieci o dodici cose che l’Italia deve fare se vuole uscire dal pantano non hanno sciolto le ambiguità del passato, non dicono nulla di coraggioso. Adesso molto timidamente cominciano a discutere di contratto unico, ma non è chiaro che posizione hanno sull’articolo 18, sui licenziamenti. Ripeto, non vedo differenze: è come scegliere tra modi diversi di reclamizzare lo stesso dentifricio. Ma io sono inguaribilmente legato alla convinzione che i partiti si fanno con le idee. Allora proviamo a rovesciare tutto: a considerare la crisi del Pd come l’inevitabile scotto da pagare per la sua novità rispetto all’opzione socialdemocratica. Perché no? la tesi del libro che Antonio Polito ha pubblicato un paio di anni fa. Ed è una tesi fondata: è stato giusto evitare di fare semplicemente un partito socialdemocratico, o una riedizione del partito socialista. C’è un problema: in Italia come nel resto d’Occidente la sinistra non ha trovato soluzioni al fallimento dello stato sociale. Paga le conseguenze di questo, dell’aver scommesso tutto sull’introduzione delle idee liberali in economia, che oggi sono sotto accusa per aver provocato un eccesso di deregulation. Se si escludono gli Stati Uniti tutta la sinistra è in crisi, ma in più la nostra paga per non aver avuto il fegato di essere davvero riformista.Siamo terribilmente indietro, i nostri laureati sono la metà rispetto alla media europea. Le sembra un dato poco rilevante? Tutt’altro. Se ci sarà una ripresa mondiale tra due anni, noi sconteremo l’errore di non aver fatto assolutamente nulla. Quanto ha pesato su questo l’essersi concentrati sull’antiberlusconismo? Per il 90 per cento direi. Accecati dall’odio per Berlusconi hanno finito per inseguire una deriva conservatrice. Se la destra volesse cambiare l’Italia dall’altra parte risponderebbero bloccando tutto. drammatico, ma bisogna riconoscere che se qualche piccola riforma in Italia è stata fatta è per merito del centrodestra. Come finirà nel Pd, si andrà alla scissione? Uno scenario probabile è il distacco di una parte del Pd che vada a confluire in un una nuova formazione di centro come quella a cui sta pensando Casini. Ma a impadronirsi della scena potrebbe anche essere un attore nuovo, Montezemolo o qualcuno che abbia le carte in regola per sbloccare la situazione. E poi c’è l’ipotesi del partito del Sud, che creerebbe un bel po’ di pasticci. Anche a Berlusconi. Soprattutto a lui, direi, perché movimenterebbe tutto. In ogni caso dubito che tra quattro anni il gioco potrà essere tra due partiti con i loro alleatini riottosi, e non è detto che nel nuovo assetto il Pd, o quello che ne sarà sopravvissuto, risulti svantaggiato. Molto dipende da chi farà la prima mossa, da quella si innescherà tutto il processo successivo. A ben guardare, già adesso non è che il Pdl sia messo molto meglio. Senta professore, ma è possibile che dietro il fallimento del Pd come forza riformista ci sia un difetto di background, ossia l’assenza nella tradizione politica italiana di una grande sinistra riformista? Non crede che la vera socialdemocrazia in Italia sia stata rappresentata dalla Dc?  una ricostruzione che condivido in pieno. La nostra sinistra è sempre stata massimalista, la destra era nascosta e fuori dai giochi, e quel po’ di socialdemocrazia lo hanno assicurato i democristiani. Lo hanno fatto però con un coté clientelare che rende il caso italiano diverso dagli altri. Forse il vero modello socialdemocratico è attribuibile al centrosinistra degli anni Sessanta, dal ’62 al ’73. durato troppo poco.