Massimo Numa, La stampa 15/7/2009, 15 luglio 2009
NEL BAGAGLIAIO UN CHILO DEI DIAMANTI SPARITI
Il furto del secolo - cioè lo svuotamento dei caveau del Diamond Center di Anversa, febbraio 2003 - a quanto pare porta una sfortuna pazzesca. Ieri mattina una volante della polizia di Milano, zona Quarto Oggiaro, stava effettuando controlli di routine, secondo la versione ufficiale; il caso ha voluto che due giovani agenti si imbattessero in una Bmw. Alla guida, l’ex capo del dream team di superladri, Leonardo Notarbartolo, 57 anni, liberato nel marzo scorso dal carcere belga dopo sei anni di cella e ora ritornato in famiglia, in un paesino della cintura torinese, circondato da moglie, figli e nipotini. Ed è l’unico che sa dove è nascosto il tesoro del Dc - la fortezza impossibile in teoria da violare - mai recuperato.
Al suo fianco un imprenditore milanese di 61 anni e il figlio di 23. Secondo gli inquirenti belgi, fu proprio Leonardo la mente di quell’impresa criminale ma geniale che fra breve sarà al centro di un film realizzato da un’importante major Usa. Una specie di «Italian Job», solo che questa volta la storia è vera. Contratti già firmati: si cerca l’attore protagonista. Si era parlato persino di Brad Pitt, nelle vesti di Notarbartolo, ormai un mito per i media internazionali.
Il tempo di controllare i documenti. Ma, quando dal terminale dello Sdi, la banca dati del Viminale, sono comparsi gli interminabili precedenti penali di Notarbartolo, che ha scelto da giovanissimo di emulare Arsenio Lupin («Preferisco Cary Grant nel film di Hitchcock ”Caccia al ladro”: come lui, mai usato un’arma, mai violenza», ha precisato con un certo orgoglio), i poliziotti hanno deciso di procedere a una perquisizione. Nei sedili posteriori hanno trovato una busta di diamanti. Non protetti dai blister di plastica trasparente, la loro carta d’identità dove viene precisata la zona di produzione, le caratteristiche, i timbri e i sigilli che ne garantiscono l’autenticità. Un secondo contenitore era nel bagagliaio. Decine, centinaia di pietre che ora saranno analizzate dalla polizia scientifica.
Notarbartolo è stato denunciato a piede libero per ricettazione e dopo qualche ora è rientrato a casa, nel suo rifugio segreto. Molto inquieto. La squadra mobile di Torino, che ne segue le gesta da decenni, ha ora avviato una serie di nuove indagini. L’obiettivo è risalire alla provenienza dei diamanti che, se veri, possono valere milioni di euro. Leonardo, alla polizia, non ha detto niente; è possibile che nelle prossime ore, magari attraverso l’avvocato di fiducia, Basilio Foti, racconti la sua verità dopo l’imprevedibile e fortunato - forse un po’ troppo - blitz del 113 di Milano.
Qualche ipotesi, così, tanto per rimanere nel solco del copione cinematografico. Si disse che il bottino (123 le cassette svuotate da una gang tutta torinese, che studiò il colpo per anni) oscillava «tra i 200 e i 400 milioni» di dollari. Uno specchio per le allodole, con lo scopo preciso di ingannare le assicurazioni, che pagarono risarcimenti spaventosi, secondo il capo della banda o del team di Anversa, che suona un po’ meglio.
Nelle loro tasche erano finiti, fatti i conti, «non più di 14 o 16 milioni di euro», si lamentavano boss e gregari. In diamanti, perché i ladri - allora - presero solo i preziosi e il denaro contante, trascurando lingotti d’oro, titoli di Stato, assegni e anche carte top secret («Troppo pesanti, difficili da piazzare o fonte di grane politiche, inutili e dannose», dissero). Ragioni semplici: «Hai presente quanti diamanti ci stanno in un pacchetto di sigarette? Beh, io preferisco le pietre alle banconote, questioni di spazio, le nascondi dove vuoi».
Gli inquirenti hanno un sospetto: che quei diamanti provengano dal bottino del Diamond Center, ancora nascosto da qualche parte; secondo una ricostruzione dell’epoca, in Lombardia. In un capannone di Palazzolo d’Adda, pare. Solo Notarbartolo, nato a Palermo ma torinese d’adozione, condannato a 10 anni nel maggio 2005, sa esattamente dov’è il tesoro. Oggi è un uomo completamente libero, senza pendenze con la giustizia. Non ha mai negato il suo ruolo, nell’organizzazione del colpo. Ma i dettagli, gli aspetti più interessanti, non li hai mai rivelati a nessuno. Una scelta coerente: «E’ vero, quella sera alle 19,30 ero nel caveau del Dc. Io ho anche collaborato con alcuni importanti soggetti belgi e credo di aver fatto la mia parte per far recuperare una parte della roba. Mi devono ancora pagare. Ma pazienza...», aveva confidato pochi giorni dopo la sua scarcerazione. Con un po’ di amarezza. E di rimpianto.