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 2009  luglio 15 Mercoledì calendario

IRAN: GUERRA DI AYATOLLAH PER LA DIVISIONE DEL POTERE


Mi piacerebbe conoscere il suo parere sulla politica della Guida Suprema Khamenei che si è schierato apertamente, prima e dopo le elezioni, con Ahmadinejad, mentre sarebbe stato più opportuno un suo atteggiamento super partes, con l’obiettivo di accontentare, come in precedenti consultazioni, lo schieramento perdente permettendogli di amministrare alcuni settori della società. Inoltre, credo che l’eventuale vittoria del riformista Mousavi avrebbe rappresentato al massimo una riedizione della presidenza Khatami, senza particolari pericoli per la sopravvivenza della Repubblica Islamica.
Fabrizio Martalò
fabriziomartalo@alice.it

Caro Martalò,
Non credo che il Leader Supremo sia mai stato al di sopra delle parti. Ma sarebbe sbagliato, per contro, considerarlo un ditta­tore nel senso che la parola ha assunto nella prima metà del Novecento. Il regime crea­to dalla rivoluzione è un ibri­do nato dalla combinazione di tre ingredienti: un tradizio­nale principio religioso degli sciiti iraniani (il «velayat­e faqih», governo del giurista islamico), un complicato in­granaggio di pesi e contrappe­si in cui un organo (l’Assem­blea degli esperti) può mette­re in discussione persino l’au­torità del leader supremo, e forme di democrazia popola­re che creano periodicamente sorprendenti spazi di libertà. Vi è certamente una conside­revole libertà, ad esempio, co­me abbiamo constatato negli scorsi mesi, durante le campa­gne elettorali. Ma la gara, nel­le elezioni per la presidenza della Repubblica e per il parla­mento, è circoscritta ai candi­dati approvati dal Consiglio dei guardiani, un organo che esercita una occhiuta supervi­sione sull’attività legislativa e risponde in ultima analisi al­la volontà del leader supre­mo. Si discute, si contesta, si combatte l’avversario, ma al­l’interno di un’arena in cui possono entrare soltanto co­loro che gli sono graditi. questa la ragione per cui, do­po i mandati della presidenza Khatami (1997-2005), molti elettori disertarono le urne. Perché votare se ogni riforma è soggetta al beneplacito di un organo conservatore che interpreta fedelmente la vo­lontà del faqih? La situazione è sembrata cambiare quando uno dei can­didati approvati dal Consiglio dei guardiani, Mir-Hussein Mousavi, si è presentato agli elettori come il risoluto avver­sario di Ahmadinejad e ha da­to la sensazione di essere un moderno riformatore. Avrem­mo dovuto accorgerci che Mousavi aveva l’appoggio di alcuni autorevoli membri del­l’establishment ecclesiastico (l’ex presidente Khatami, il presidente dell’Assemblea de­gli esperti Rafsanjani) e che al­tre personalità del regime ave­vano adottato un atteggia­mento attendista. Avremmo dovuto capire che la battaglia non era uno scontro di tipo occidentale fra conservatori e riformisti. Era una battaglia al­l’interno dell’establishment per una diversa distribuzione del potere. Ci ha tratto ingan­no il nostro euro-centrismo, la nostra arrogante predispo­sizione ad applicare ovunque gli schemi occidentali della lotta politica. L’inganno è sta­to reso più facile dalla natura­le simpatia che suscitava in noi lo spettacolo di una folla giovanile appassionata, mo­derna, in sintonia con i senti­menti e gli umori delle nostre società democratiche. Ma non sono sicuro che Mousavi, se avesse vinto, avrebbe corri­sposto alle nostre attese.

Questo non significa che le elezioni siano state inutili. Hanno incrinato l’autorità del­l’establishment, hanno sfida­to il potere del faqih, hanno ri­velato l’esistenza di una forza nuova rappresentata dalla gio­ventù iraniana. Niente d’ora in poi sarà come prima.