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 2009  luglio 15 Mercoledì calendario

ORDIGNI POTENTI, VIE STERRATE DIFFICILI DA «RIPULIRE»


WASHINGTON – Un maggior nu­mero di trappole esplosive e ordigni più potenti. E’ così che i talebani hanno contrastato la presenza delle forze occidentali in Afghanistan. Una tattica lanciata nell’inverno 2007 e perfezionata seguendo l’esempio dei ribelli iracheni.

I dati forniti dal Pentagono illu­strano il sentiero di morte tracciato in Afghanistan dalle Ied (improvi­sed explosive device), le bombe ru­dimentali: 234 attacchi nel giugno 2007, 308 nel giugno 2008, 763 nel­lo scorso mese. E’ cresciuta anche l’efficacia. Se nel 2008 i terroristi so­no riusciti ad infliggere perdite in 24 casi, l’anno dopo sono saliti a 82. All’inizio chi preparava gli agguati usava quantità ridotte d’esplosivo (6-7 chilogrammi) oggi sono capaci di piazzare una bomba da 250 kg, in grado di rovesciare come un fuscel­lo i migliori mezzi blindati.

Gli esperti americani hanno segui­to con grande preoccupazione il cambio tattico sul campo. E si sono accorti che i talebani, dopo aver per­so molti uomini in confronti diretti, insostenibili per la disparità di volu­me di fuoco, hanno dedicato mezzi e risorse alla preparazione degli or­digni. Veterani del conflitto afgha­no hanno fornito la loro esperienza, altri consigli sono arrivati da quanti hanno partecipato alla Jihad in Iraq. Istruzioni a volte sostenute da mate­riale «didattico» specifico rappre­sentato da dozzine di DVD e video dove si illustrano tecniche, materia­le, trucchi. Per l’intelligence è nata anche un’industria dell’Ied – come era avvenuto anche in Iraq – con persone che si trasformano in «bom­baroli » a pagamento. Per quanto un mujahed possa imparare da un fil­mato serve sempre il vero artificie­re, qualcuno che sappia come ma­neggiare sostanze instabili. Un rap­porto americano del 2008 indicava che un buon numero di trappole era­no «a pressione», ossia venivano at­tivate dal passaggio di un veicolo. Un sistema alternato a quello di ordi­gni sistemati ai lati della strada op­pure ad una serie di bombe. Esplo­de la prima, quindi scatta la secon­da o una terza all’arrivo dei soccor­si. Nulla di nuovo nel panorama guerrigliero: l’Ira nell’Irlanda del Nord, gli Hezbollah in Libano, Al Qa­eda in Iraq hanno fatto scuola in pe­riodi diversi.

Il teatro ha complicato il compito dei soldati e favorito gli agguati. Al contrario dell’Iraq dove esiste un gran numero di strade asfaltate, in Afghanistan i mezzi occidentali bat­tono piste sterrate. Così è più facile nascondere le bombe. E dove ci so­no vie buone sfruttano le dozzine di piccoli cunicoli per lo scolo dell’ac­qua. Sembrano dettagli irrilevanti ma che sono decisivi per le contro­misure. Gli americani impiegano spesso aerei che mappano le rotte stradali scattando foto che poi sono esaminate più volte prima del pas­saggio di un convoglio. Se l’asfalto è stato «toccato» la ricognizione lo se­gnala alle pattuglie di esploratori. Un sistema che ha funzionato assai bene nello scacchiere iracheno ma meno in quello afghano.

Al Pentagono non hanno lesinato risorse. Lo JIEDDO, l’organizzazione militare che studia le risposte alle Ied, ha un budget di 4 miliardi di dollari all’anno, una somma impres­sionante per coprire ricerche ed esperimenti di ogni tipo. Compresa l’elaborazione di un videogioco do­ve si simulano tutti gli scenari possi­bili. Un sapere che poi passa alle uni­tà operative. In Afghanistan il coor­dinamento delle tattiche è affidato alla Task Force Paladin che ha la sua base a Bagram.

Tutti studiano lo scudo perfetto ma sanno bene che sulle montagne i talebani sono pronti a rendere più acuminata la loro lancia.