Guido Ceronetti, La Stampa 15/07/2009, 15 luglio 2009
QUANTE BUGIE SUI VECCHI
Va considerato oltraggioso un avverbio che viene inesorabilmente interposto nella ripetutissima frase, quando si tratta vecchiaia e vecchi come «problema sociale» - eccola: «La vita, fortunatamente, si è allungata molto». Al suo posto, sarebbe adeguato un purtroppo, ma il coraggio, l’energia vitale della verità manca talmente al linguaggio comune da non far sperare che si ficchi una volta tanto nell’uso. Per me, che non ho voglia di mentire, vale il purtroppo.
Si cerca di tamponare la faccenda, quanto al problema sociale, moltiplicando le attenzioni dello Stato assistenziale; quel che le vanifica in buona parte è la quantità enorme di vecchi che con poche varianti d’anni entrano a far parte dello stuolo dei predestinati ad invecchiare, ignari spesso, per altre distorsioni prodotte dal linguaggio traditore, di quel che li aspetta. Allontanare la morte ad ogni costo è il miraggio unico di questo sprofondamento nel sottosuolo della menzogna.
La demografia scientifica contiene una falsificazione basilare, oltre al fluttuare delle statistiche: non tiene conto che i vecchi consumano di più di ogni cosa, acqua specialmente, risorse alimentari (la tristezza senile rende mangioni), medicinali di ogni specie, energia di riscaldamento, trasporti, denaro pubblico. Aggiungi, incalcolabile, eco-non compatibile, il consumo di affetto, dato ai vecchi per pietà, dovere, tolleranza, avarizia, una nuvolaglia di vapori neri gravanti sulla vita associata peggio delle emissioni di anidride. L’affetto va risparmiato, perché se lo diamo a rubinetti aperti la terra ne resta asciutta: lo si lesina ai vecchi, d’istinto, perché ne resti un po’ di più ai bambini.
Nelle antiche comunità perdute (tra cui Atlantide) i vecchi si sacrificavano per la tribù e andavano incontro alla morte nelle foreste - ma l’Io non era ancora apparso, e non ci sono più abbastanza foreste, specie incantate, per assorbire tante vecchiaie. E nelle giungle d’asfalto ci ritrovano subito e ci danno del disertore. A Tolstoj riuscì il colpo, ma il filo del Telegrafo lo riacchiappò a Ostapovo. Inoltre, socialmente, una quantità di vecchi non sono ancora affatto inutili e il Mercato dell’a-buon-prezzo li spia.
psicologicamente e individualmente che la grande Pandemia di sopravvivenza, cominciata all’incirca alla metà del XX secolo, s’impagina con inedita crudeltà nei moderni contesti del Tragico. La sua maschera dolente si scontra con una feroce inaccettabilità che la nega: sempre più zittiti, ai vecchi viene imposta un’anagrafe falsificata, un’identità non corrispondente, un volto da lifting interiore, che piace al cretino («Ma che bella faccia! Va là che stai bene! Dai dei punti ai giovani!»); i pugnali congiurati del Luogo Comune trafiggono il tuo autentico esserci di persona umana, che non può e non vuole essere Quello che si vuole lei sia, e che pretende l’inquisizione degli ottimisti, una irrealtà di costruzione medica e di finta premura sociale, un raccapricciante «diversamente giovane», ma semplicemente e umilmente un corpo vecchio, che vive arretrando, come sa, come ci riesce, e in cui il pensiero della morte non osa più dirsi, per la brutalità della repressione linguistica, liberatorio e di speranza.
La vecchiaia per antonomasia, la realtà senile che ha più parentela col Tragico è la maschile; non ci sono due condizioni uguali: le donne sono favorite dalla diversità sessuale e mentale. La donna vecchia ha ancora forze sufficienti per consolare la vecchiaia dell’uomo vecchio.
Non sono paragonabili le due solitudini. Chi ha avuto e perso una compagna amata è infelice allo stato puro. Portagli pure a casa la zuppa calda: potrebbe venire dallo Chef Premio Nobel più ispirato, non ne scalfirebbe l’infelicità neppure per un minuto. Fin che può la vecchia signora allontana la pena occupandosi della casa e di attività sociali; il vecchio gentleman mangia pane di ghiaccio solido. Se è colto, gli restano i libri; certamente non la televisione (vedi il romanzo breve di Simenon, Il Presidente, perfetta radiografia di una vecchiaia molto ricca e molto bene assistita). Osservate nelle case di riposo le facce degli uomini e quelle delle donne, quando non siano spente dalla malattia mentale: nelle donne sopravvive sempre qualcosa di ilare, di facilmente appagabile, un’onesta rassegnazione che per pudore non si manifesta; l’uomo nel suo avvilimento è senza misura, nei suoi tratti si esprime uno stato di desolazione indeterminato, senza confini. In genere socializzano poco, sono dei manichini, dei tubi digerenti orbi di digestione. L’uomo vecchio sente sempre che il suo incontro con l’esserci è stato un fallimento, che è mancato all’appuntamento con quel che è più alto. E rimane muto, davanti a tanta sciagura, mentre gli altri chiacchierano e chiacchierano, impotenti a capire.
L’essenza del Tragico maschile è la privazione di appagamento. Con molta cautela Sofocle ne fa intravedere un modo al termine dell’Edipo a Colono, Victor Hugo lo vede nella morte del Giusto che è Jean Valjean. Nelle tremende solitudini sovraffollate di vecchiaie in eccesso delle nostre giungle metropolitane, però, restano all’esterno le redenzioni trasmesse dalle nostre carte esemplari.
Anche la maialità senile è enigma e dramma maschile. Ricordo un filosofo di cui ammiravo la dottrina: seppi che, da pensionato, restò fino alla morte tuffato nell’Osceno. Alle donne niente di simile potrà mai accadere. Ma la maialità dei vecchi che perdono il controllo (così si dice) non ha spiegazioni facili. Il vecchio perde il ritegno più per disperazione che per vizio, in specie dopo una vita irreprensibile, non può far conto di corteggiamenti, sbatte nell’impotenza. La perdita totale di rapporti con gli accessi ad altri mondi e con il Dio Ignoto, fracassa le dighe frollite dal cumulo d’anni.
E la moltiplicazione dei vecchi dissemina fortemente, coperto o manifesto, maialismo senile. Le innumerevoli ipertensioni domate non fanno precipitare in una pornofilia indomabile? Il geriatra allungando (altro non può fare) la vita, prescrivendo farmaci sgattiglianti, perché non dorma «il garrulo eremita», e nello stesso tempo antidepressivi e sonniferi, non allunga anche la torturante altalena degli affanni sessuali maschili al di là del segno di un decente traguardo? Volete che le carrozzine dei centenari, davanti ai sexshop dei più disumani paesaggi urbani, facciano la fila? Non sarebbe il diavolo a sospingerle là dentro?
La némesis-natura risponde colpo su colpo a tutti, nessuno escluso, gli oltrepassamenti di limiti, che diventano, in un granello di filosofia, altrettanti modi predestinati delle oscure espiazioni metafisiche da cui si origina la vita (Volontà schopenhaueriana o qualsiasi altra forza emanata dai boccaporti dell’Essere). La politica, cieca come uno squalo, balbetta i suoi «fortunatamente» e lo strafalcione delle sue «problematiche», e un famoso pugno-di-mosche è sempre tutto quanto, alla fine, ci resta in mano.
Io, qui, non ho pensato che ad emendare al minimo, di qualche impurità e falsificazione, il linguaggio della tribù.