Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  luglio 14 Martedì calendario

LEGGE PROPORZIONALE DEL 1919 I VECCHI E I NUOVI PARTITI


Nel concludere la sua risposta sulla decisione di Giolitti in favore del suffragio universale introdotto in occasione delle elezioni del 1913, lei ci lascia in sospeso come in un thriller a puntate.
Potrebbe illustrarci più in dettaglio che cosa vuol dire allorché afferma: «Il declino della democrazia liberale cominciò con la legge proporzionale del 1919; e non fu colpa di Giolitti»? Tanto più che in molti testi l’introduzione del suffragio universale viene fatta coincidere proprio con le elezioni del 1919.
Pierpaolo Merolla
p.merolla@telenet.be

Caro Merolla,
Alla fine della Grande guerra il panorama po­litico italiano era cam­biato. Accanto ai vecchi parti­ti risorgimentali (liberali, de­mocratici, radicali) e al parti­to socialista, nato alla fine del­l’Ottocento, vi erano nel 1919 forze politiche nuove: i nazio­nalisti di Luigi Federzoni e Al­fredo Rocco, i popolari di Don Sturzo, il fascio di Benito Mus­solini, l’ala massimalista e fi­lo- bolscevica del movimento socialista. Tutti premevano sul governo, allora presieduto da Francesco Saverio Nitti, perché desse spazio alla loro voce, e qualcuno agitava lo spettro di un colpo di Stato. La Camera, eletta nel 1913, era ormai invecchiata. Occor­reva un’assemblea che rispec­chiasse il volto mutato del Pa­ese, occorrevano nuove elezio­ni. Con quale legge elettorale? I partiti nuovi chiedevano in­sistentemente la proporziona­le, vale a dire il solo sistema che avrebbe riconosciuto a ogni partito lo spazio corri­spondente al suo seguito nel Paese.

Giolitti sapeva che la pro­porzionale avrebbe dato un colpo mortale a quel notabila­to liberale che era stato sino ad allora la spina dorsale del suo partito. Sostenne quindi che bisognava anzitutto rin­novare la Camera e rinviare a un momento successivo la di­scussione sulla riforma. Ma dovette rendersi conto che la proporzionale era ormai uno dei tanti debiti contratti con il Paese durante il conflitto. La nuova legge fu approvata in nove giorni, dal 31 luglio al 9 agosto, con 63 voti contrari, e le elezioni si tennero in no­vembre. I risultati furono quelli che Giolitti aveva temu­to: 156 deputati socialisti (contro i 48 del 1913), 100 de­putati popolari (il partito era stato fondato qualche mese prima) e 252 «costituzionali» o liberali contro i 380 delle ele­zioni precedenti. I liberali ave­vano perduto la maggioranza. Non vi era neppure un fasci­sta, nonostante l’importanza che il movimento aveva as­sunto nei mesi precedenti, ma i deputati di prima elezio­ne erano trecento. Mai, dalla costituzione del regno, il per­sonale politico era stato così radicalmente rinnovato.

Ma il rinnovamento non è necessariamente sinonimo di miglioramento. Dal novem­bre 1919 all’ottobre 1922 l’Ita­lia ebbe, senza parlare dei rim­pasti, quattro governi (Nitti, Giolitti, Bonomi, Facta) e si di­batté per almeno due anni in una crisi che fu in alcuni mo­menti una sanguinosa guerra civile. Nessuno può ragione­volmente affermare che le co­se, senza la proporzionale, sa­rebbero andate necessaria­mente meglio. Ma la nuova legge ebbe l’effetto di rendere il Paese ingovernabile e di spianare la strada, paradossal­mente, al regime fascista.