Sergio Romano, Corriere della sera 14/7/2009, 14 luglio 2009
LEGGE PROPORZIONALE DEL 1919 I VECCHI E I NUOVI PARTITI
Nel concludere la sua risposta sulla decisione di Giolitti in favore del suffragio universale introdotto in occasione delle elezioni del 1913, lei ci lascia in sospeso come in un thriller a puntate.
Potrebbe illustrarci più in dettaglio che cosa vuol dire allorché afferma: «Il declino della democrazia liberale cominciò con la legge proporzionale del 1919; e non fu colpa di Giolitti»? Tanto più che in molti testi l’introduzione del suffragio universale viene fatta coincidere proprio con le elezioni del 1919.
Pierpaolo Merolla
p.merolla@telenet.be
Caro Merolla,
Alla fine della Grande guerra il panorama politico italiano era cambiato. Accanto ai vecchi partiti risorgimentali (liberali, democratici, radicali) e al partito socialista, nato alla fine dell’Ottocento, vi erano nel 1919 forze politiche nuove: i nazionalisti di Luigi Federzoni e Alfredo Rocco, i popolari di Don Sturzo, il fascio di Benito Mussolini, l’ala massimalista e filo- bolscevica del movimento socialista. Tutti premevano sul governo, allora presieduto da Francesco Saverio Nitti, perché desse spazio alla loro voce, e qualcuno agitava lo spettro di un colpo di Stato. La Camera, eletta nel 1913, era ormai invecchiata. Occorreva un’assemblea che rispecchiasse il volto mutato del Paese, occorrevano nuove elezioni. Con quale legge elettorale? I partiti nuovi chiedevano insistentemente la proporzionale, vale a dire il solo sistema che avrebbe riconosciuto a ogni partito lo spazio corrispondente al suo seguito nel Paese.
Giolitti sapeva che la proporzionale avrebbe dato un colpo mortale a quel notabilato liberale che era stato sino ad allora la spina dorsale del suo partito. Sostenne quindi che bisognava anzitutto rinnovare la Camera e rinviare a un momento successivo la discussione sulla riforma. Ma dovette rendersi conto che la proporzionale era ormai uno dei tanti debiti contratti con il Paese durante il conflitto. La nuova legge fu approvata in nove giorni, dal 31 luglio al 9 agosto, con 63 voti contrari, e le elezioni si tennero in novembre. I risultati furono quelli che Giolitti aveva temuto: 156 deputati socialisti (contro i 48 del 1913), 100 deputati popolari (il partito era stato fondato qualche mese prima) e 252 «costituzionali» o liberali contro i 380 delle elezioni precedenti. I liberali avevano perduto la maggioranza. Non vi era neppure un fascista, nonostante l’importanza che il movimento aveva assunto nei mesi precedenti, ma i deputati di prima elezione erano trecento. Mai, dalla costituzione del regno, il personale politico era stato così radicalmente rinnovato.
Ma il rinnovamento non è necessariamente sinonimo di miglioramento. Dal novembre 1919 all’ottobre 1922 l’Italia ebbe, senza parlare dei rimpasti, quattro governi (Nitti, Giolitti, Bonomi, Facta) e si dibatté per almeno due anni in una crisi che fu in alcuni momenti una sanguinosa guerra civile. Nessuno può ragionevolmente affermare che le cose, senza la proporzionale, sarebbero andate necessariamente meglio. Ma la nuova legge ebbe l’effetto di rendere il Paese ingovernabile e di spianare la strada, paradossalmente, al regime fascista.