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 2009  luglio 14 Martedì calendario

«AVEVA I PANTALONI» GIORNALISTA SUDANESE RISCHIA 40 FRUSTRATE


Accusata di «turbamento pubblico»

I famosi ragazzi e ragazze sudanesi fotografati semi-nu­di da Leni Riefenstahl sono lontani anni luce dalla Khar­toum del 2009. Lontani nel tempo: la cineasta tedesca, ce­lebre quanto controversa per le sue immagini della gioven­tù hitleriana, li scoprì e im­mortalò negli anni Settanta. E nello spazio: le tribù Nuba a cui appartenevano quei giova­ni modelli abitano il remoto Ovest del Sudan. Come le re­gioni del Sud, «terre di animi­sti e di cristiani».

Ma la capitale è oggi terra d’Islam sempre più severo. Di sharia applicata con un fervo­re quasi vicino a quello dei Pa­esi del Golfo. Ed è così che un gruppo di donne, tra cui una celebre giornalista, sono state arrestate, incriminate, alcune di loro già punite con frusta­te, altre in attesa di subire la stessa sorte, per aver causato «turbamento pubblico» con il loro «comportamento inde­cente ». Ovvero per aver indos­sato dei pantaloni.

Lobna Ahmed Al Hoseini, 40 anni, giornalista e com­mentatrice del giornale di si­nistra Al Sahafa (La stampa) dove tiene una coraggiosa ru­brica dal titolo «Gli uomini parlano», nonché collaboratri­ce del settore media delle Na­zioni Unite in Sudan, si trova­va in un noto ristorante della capitale quando una ventina di poliziotti hanno fatto irru­zione e le hanno ordinato di seguirli in commissariato. Con lei tutte le altre donne e ragazze che indossavano pan­taloni, per altro coperti da blu­se, e con veli sulla testa che «non coprivano abbastanza». Un abbigliamento certo diver­so dai tradizionali abiti lun­ghi delle sudanesi del Nord, che ricordano i sari indiani ma lasciano meno pelle sco­perta. Un modo di vestirsi, pantaloni e bluse, normal­mente accettato in moltissimi Paesi musulmani e fino a po­co tempo fa anche nella «mo­derna » capitale sudanese.

«Ci hanno portato via, era­vamo in 13, tra cui alcune donne del Sud», ha racconta­to Lobna, confermando che molte di loro erano cristiane e animiste e, in teoria, non do­vrebbero essere soggette alla legge islamica. «Due giorni dopo, dieci di loro sono state portate alla stazione centrale della polizia e sono state puni­te con dieci frustate ciascu­na ». La condanna «clemen­te », ovvero solo dieci colpi, è stata il risultato di una confes­sione di colpevolezza. Lobna e altre due donne, invece, non hanno confessato. Anzi, la giornalista ha inviato mi­gliaia di inviti via mail, sms o per posta ai media e ai suoi so­stenitori per assistere al pro­cesso di cui sarà presto ogget­to. Se verrà condannata (in questo caso le frustate saran­no 40), intende invitare quan­ti più spettatori anche alla sua flagellazione.

«Queste accuse sono il chia­ro tentativo di screditare e mettere a tacere una giornali­sta coraggiosa, solo un regi­me tirannico può arrivare a tanto», ha denunciato l’Arab Network for Human Rights Information, ricordando che Lobna Al Hussein, nella sua rubrica, non risparmia mai critiche al governo di Khar­toum e ai fondamentalisti isla­mici. «Le autorità dovrebbero avere il coraggio di risponde­re alle accuse anziché vendi­carsi così», ha aggiunto Abeer Soliman, capo del Network. E ricorda come dal 1991, quan­do fu introdotta la legge sul «comportamento indecente», molte altre donne e ragazze sudanesi, soprattutto studen­tesse e lavoratrici, siano state umiliate e punite. «Un modo per isolarle e tenerle in casa, lontane dagli occhi della gen­te », dice Abeer Soliman. Lob­na Al Hussein, invece, vuole che tutti assistano alla sua (probabile) condanna.