Massimo Mucchetti, Corriere della sera 14/7/2009, 14 luglio 2009
«IL NOSTRO SEGRETO? ESSERE PIU’ POPOLARI DELLA TV»
Giuseppe Vita, 74 anni, siciliano di Favara e berlinese d’adozione, presiede il consiglio di sorveglianza di Axel Springer Ag, primo gruppo multimediale tedesco.
Dottor Vita, in Italia, l’editoria chiede al governo di riconoscerle lo stato di crisi per poter ridurre il personale con prepensionamenti agevolati. In Germania?
«Anche in Germania l’editoria, come l’intera economia, soffre la recessione. Ma gli editori non hanno chiesto aiuti al governo».
Soffre anche Springer?
«Il periodo è difficile per tutti. Springer non ripeterà il record del 2008. E tuttavia continuerà a guadagnare bene. Le crisi, del resto, finiscono con il rafforzare il leader di mercato. E noi siamo un leader sano, attento ai costi e meno dipendente degli altri dalla piccola pubblicità. Quando il tuo giornale di punta raggiunge più persone di qualsiasi programma tv, diventi un mezzo al quale nessun grande inserzionista può rinunciare».
Nel ”68, Axel Springer era considerato un editore di destra...
«Opinione estremista o poco informata. Il gruppo ha messo per iscritto fin dall’inizio i suoi principi che non sono classificabili in modo così rozzo: l’unificazione della Germania, la riconciliazione tra tedeschi ed ebrei e l’appoggio a Israele che è importantissimo, l’economia sociale di mercato, l’unificazione europea…».
E l’alleanza con gli Usa
«Questo principio non lo inserì Axel Springer, che morì nel 1985. Lo volemmo noi dopo l’attentato alle Torri gemelle».
Nel consiglio di sorveglianza di Springer lei non ha a che fare con i rappresentanti del lavoro come, invece, le è capitato in Hugo Boss «Hugo Boss è una grande azienda della moda. La legge esonera dalla Mitbestimmung le società della Chiesa e le imprese editoriali. I sindacati non possono influenzare religione e informazione».
E questo è comprensibile, ma non ci sono solo i sindacati con simili tentazioni…
«Diversamente da quanto accade in Italia, qui tutti gli editori sono puri. Non è pensabile un grande politico, un importante industriale o un potente banchiere a capo di un’impresa editoriale. Il quotidiano economico Handelsblatt appartiene al gruppo Holtzbrinck, non alla Confindustria. Da noi gli editori hanno il compito di guadagnare con i giornali e non con altro. E i giornalisti devono fare il loro mestiere senza timori reverenziali».
La «Bild Zeitung» non è conservatrice?
«Il direttore decide in piena autonomia. L’attuale, Kai Diekmann, era stato portavoce di Helmut Kohl. Ne era diventato così amico da averlo quale testimone di nozze. Ma non esitò a invitare a votare Schroeder perché, dopo 4 mandati, riteneva che anche il grande Kohl avesse fatto il suo tempo alla cancelleria. Anni dopo, quando si risposò, Kohl volle Diekmann come testimone».
Schroeder disse che non si vincono le elezioni senza la «Bild» e la tv
«Poi spiegò di essere stato frainteso. Ma è vero che, pur essendo un giornale popolare che riserva uno spazio contenuto alla politica, la Bild ha il record delle interviste ai grandi leader».
Il gruppo Springer ha investito all’estero. Soprattutto nell’Europa dell’Est...
«Ma ci interessa pure l’Europa occidentale...».
Provaste a prendere il «Daily Telegraph»
«Ci furono inglesi che offrirono il 50% più di noi… Caduto il Muro di Berlino, l’Europa dell’Est aveva bisogno di gruppi come il nostro per darsi un’editoria moderna e libera. Nelle democrazie consolidate i giornali liberi c’erano già. E molto radicati».
Interessa l’Italia?
«Incontro spesso persone con forti interessi editoriali in Italia. Quando un’opportunità di acquisizione si presenta nel mondo, le banche vengono sempre a proporcela. Dell’Italia nessuno ci dice nulla. E poi, crede lei che l’establishment italiano sarebbe pronto ad accettare un editore non nazionale in maggioranza dentro un grande giornale?».