Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  luglio 14 Martedì calendario

«IL NOSTRO SEGRETO? ESSERE PIU’ POPOLARI DELLA TV»


Giuseppe Vita, 74 anni, siciliano di Favara e berli­nese d’adozione, presiede il consiglio di sorveglianza di Axel Springer Ag, primo gruppo multimediale te­desco.

Dottor Vita, in Italia, l’editoria chiede al governo di riconoscerle lo stato di crisi per poter ridurre il personale con prepensionamenti agevolati. In Ger­mania?
«Anche in Germania l’editoria, come l’intera eco­nomia, soffre la recessione. Ma gli editori non hanno chiesto aiuti al governo».

Soffre anche Springer?
«Il periodo è difficile per tutti. Springer non ripete­rà il record del 2008. E tuttavia continuerà a guada­gnare bene. Le crisi, del resto, finiscono con il raffor­zare il leader di mercato. E noi siamo un leader sano, attento ai costi e meno dipendente degli altri dalla piccola pubblicità. Quando il tuo giornale di punta raggiunge più persone di qualsiasi programma tv, di­venti un mezzo al quale nessun grande inserzionista può rinunciare».

Nel ”68, Axel Springer era considerato un edito­re di destra...
«Opinione estremista o poco informata. Il gruppo ha messo per iscritto fin dall’inizio i suoi principi che non sono classificabili in modo così rozzo: l’unifi­cazione della Germania, la riconciliazione tra tede­schi ed ebrei e l’appoggio a Israele che è importantis­simo, l’economia sociale di mercato, l’unificazione europea…».

E l’alleanza con gli Usa
«Questo principio non lo inserì Axel Springer, che morì nel 1985. Lo volemmo noi dopo l’attentato alle Torri gemelle».

Nel consiglio di sorveglianza di Springer lei non ha a che fare con i rappresentanti del lavoro come, invece, le è capitato in Hugo Boss «Hugo Boss è una grande azienda della moda. La legge esonera dalla Mitbestimmung le società della Chiesa e le imprese editoriali. I sindacati non posso­no influenzare religione e informazione».

E questo è comprensibile, ma non ci sono solo i sindacati con simili tentazioni…
«Diversamente da quanto accade in Italia, qui tutti gli editori sono puri. Non è pensabile un grande poli­tico, un importante industriale o un potente banchie­re a capo di un’impresa editoriale. Il quotidiano eco­nomico Handelsblatt appartiene al gruppo Holtzbrin­ck, non alla Confindustria. Da noi gli editori hanno il compito di guadagnare con i giornali e non con al­tro. E i giornalisti devono fare il loro mestiere senza timori reverenziali».

La «Bild Zeitung» non è conservatrice?
«Il direttore decide in piena autonomia. L’attuale, Kai Diekmann, era stato portavoce di Helmut Kohl. Ne era diventato così amico da averlo quale testimo­ne di nozze. Ma non esitò a invitare a votare Schroe­der perché, dopo 4 mandati, riteneva che anche il grande Kohl avesse fatto il suo tempo alla cancelle­ria. Anni dopo, quando si risposò, Kohl volle Diek­mann come testimone».

Schroeder disse che non si vincono le elezioni senza la «Bild» e la tv
«Poi spiegò di essere stato frainteso. Ma è vero che, pur essendo un giornale popolare che riserva uno spazio contenuto alla politica, la Bild ha il record delle interviste ai grandi leader».

Il gruppo Springer ha investito all’estero. So­prattutto nell’Europa dell’Est...
«Ma ci interessa pure l’Europa occidentale...».

Provaste a prendere il «Daily Telegraph»
«Ci furono inglesi che offrirono il 50% più di noi… Caduto il Muro di Berlino, l’Europa dell’Est aveva bi­sogno di gruppi come il nostro per darsi un’editoria moderna e libera. Nelle democrazie consolidate i giornali liberi c’erano già. E molto radicati».

Interessa l’Italia?
«Incontro spesso persone con forti interessi edito­riali in Italia. Quando un’opportunità di acquisizione si presenta nel mondo, le banche vengono sempre a proporcela. Dell’Italia nessuno ci dice nulla. E poi, crede lei che l’establishment italiano sarebbe pronto ad accettare un editore non nazionale in maggioran­za dentro un grande giornale?».