Alberto Arbasino, la Repubblica 14/7/2009, 14 luglio 2009
PRAGA KAFKA NON ABITA PIU’ QUI
Ansie e angosce nella ripresa dell´eccellente "No Man´s Land" di Harold Pinter
Nell´immaginario poetico, tra Didone Salammbô e Cabiria "Carthago" è sempre punica
All´Aja le opere di alcune coppie artistiche del ´900 come i Delaunay o Krasner e Pollock
Dal Castello al Bacon di Londra, dagli happy hour al Beato Angelico quel che resta di sei mesi tra mostre tour e spettacoli
Londra, gennaio. La magnifica retrospettiva di Francis Bacon alla Tate e la contemporanea ripresa dell´eccellente No Man´s Land di Harold Pinter (dopo 34 anni, e con la morte dell´autore durante il successo delle repliche) fanno adesso riflettere su quella loro comune aura di ansie e angosce e opprimenti apprensioni. Vissute non in una Germania dell´Est con Stasi e Muro fra Ulbricht e Honecker, ma in una «swinging London» di minigonne e Rolling Stones, con governi di Harold Wilson o della Thatcher.
Nei fondali della privacy, certamente anche allora i tabloids di gossip rovistavano tra famigliacce fin troppo allargate e smandrappate, divorzi e separazioni non consensuali, suicidi, figliastri, ubriachezze estreme, liti e polemiche fin sopra le bare. E tutta una letteratura su invalidi, alcoolici, estraniati, ricattati, reclusi, incomunicabili. Nonché un´arte su panda e cantanti disgraziati, migliaia e milioni di cinesi e africani massacrati, innumerevoli minorati e minorenni abusati con musini patetici dal Potere in allestimenti vergognosi. E tante controculture di proteste alternative, con la sistematica denuncia fusion, le compatte trasgressioni cool, l´atavico antiamericanismo britannico, l´inconscio dell´anima schizofrenica, le psicopatologie circa le "cause" e gli "eventi", la biochimica della terza età. Tendenze al «raucous» e al «cavernous». Mai qualcosa di «refreshing» o «tantalising». «Agonizing» e «disturbing», piuttosto. «A Refreshing Mafia Film» si legge ora nella pubblicità, semmai. «Utopia & Catastrophe», invece, per l´esposizione «Cold War Modern», al Victoria & Albert Museum, sulla competizione aggressiva nel design e nei missili tra la Russia di Krusciov e l´America di Nixon.
E quindi, una perenne Drammaturgia della Minaccia: con sintomi, sindromi, prodromi, lapsus significativi, cadute cardiache, smemoratezze apparentemente occasionali ma ripetitive. Dunque, indispensabili precisioni microstrutturali e millimetriche. Altro che all´Opera: qui, un gesto o un piede o un abito sbagliato, e crolla il climax.
Meravigliosa fu l´interpretazione di John Gielgud e Ralph Richardson, con la regìa di Peter Hall, alla prima di No Man´s Land, nel 1975. Non si doveva assolutamente capire come mai i due vecchi si fossero incontrati nella notte a Hampstead Heath, celeberrimo parco sodomitico; e se si conoscessero già, e da quanto; o perché i due giovani e rozzi e naturalmente inquietanti body guards dominassero l´andamento nella ricca magione, fra innumerevoli drinks. E´ un testo che può apparire quale versione in "noir" di un celebre numero nel musical Gigi, ove sul refrain di «I remember it well» il vecchio Maurice Chevalier e la sua coetanea Hermione Gingold rammentavano un loro flirt giovanile confondendo la sera con la mattina e il sole con la pioggia. Ma funziona magnificamente anche adesso, interpretato dal veterano Michael Gambon con un´ottima compagnia.
Mirabili pezzi di bravura: complessi di irrealtà e assurdo e colpa e vaghezza minatoria, rigoglio di tormentoni e omissioni su ragionamenti alla Wittgenstein o alla Stoppard, con movimenti silenziosi e tempismi calibratissimi... E inquietudini sulla verbosità: più o meno sfoltita che nei celeberrimi monologhi di Molly Bloom nell´Ulysses o di Giorni felici di Beckett?
Qualche po´ di Germania cattiva (da Weimar, o da DDR) sembra perdurare nelle «gabbie» o «griglie» segnate da tubature indefinite, nel più tragico e fissato Bacon. Gabbie non più da Cabaret o da Cage aux folles ma piuttosto da Buchenwald: che d´altronde è vicinissima a Weimar. Con striature verticali come pioggia battente su fondi ossessivamente già striati, come docce del sabato nei bagni proletari di quei tempi. (A Bermondsey, in periferia, mentre gli "Imperial" a Bloomsbury parevano un´abbazia gotica bombardata; e in Jermyn Street si risaliva a Oscar Wilde, con cavernosi inservienti che sillabavano «Go back to your cubicle»). Macché rock. Anche lì, infinite varianti sulle medesime urla e grida negli isolamenti: cessi, carnai, macelli, mattatoi, ring pugilistici, con vomiti da boccacce purulente. Altro che «Strawberry Fields Forever». Verso la fine, Bacon parrebbe più pacificato, tuttavia. Ma il poeta Auden definiva «the dishonest decade» qualche decennio del Novecento; forse, più d´uno. E George Orwell sarà stato d´accordo. Ora però «A Decade of Decadence» diventa un giudizio lusinghiero, anche sul mercato del look. E gli innumerevoli alternativi identici sfoggiano nei locali lo stesso «strict code» omogeneizzato nei concerti, eventi, movimenti, discoteche, movide, «che casino, che macello», in ex o nuove macellerie, archeo-hangar, vetero-laminatoi.
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Cartagine, febbraio. Altro che le memorie novecentesche e avanguardistiche di Alessandria d´Egitto, bloccate con la cacciata dei cosmopoliti e le rivincite degli egizi. «Delenda» (e infatti distrutta e salata ma poi sontuosamente pavimentata e mosaicata dai Romani), però sempre «punica» nell´immaginario poetico, fra Didone e Salammbô e Cabiria, la leggendaria «Carthago» appare oggi fiorente e ridente, a un´ora da Fiumicino. Con molte facoltose ville su e giù per i clivi e i colli in riva al mare, dietro i muri candidi, come nella migliore Costa Azzurra o Versilia. Alturette e vallette strepitosamente fiorite: chissà se provviste di giacimenti archeologici sotto le verande e le pergole.
Sidi-bou-Said, chissà. «Care memorie?». Prossimamente, indubbiamente, ricche casette e villette autenticamente mediterranee, come nelle isole greche, fra le bougainvillee. Per ora, baratri e voragini tra le fondamenta.
A Tunisi, sulle principali avenues, niente alcoolici nei locali più trendy per i giovani cool. Happy hour e movida senza birre, confinate in squallidi posti per vecchi. Vino rosato locale buonissimo, solo in taluni ristoranti. Nelle librerie, le vetrine dei successi (naturalmente in francese) espongono molto giallo-noir con delitti e commissari in provincia coi vari bestseller su mafie e camorre e ”ndranghete nella vicina Italia meridionale «così pittoresca e caratteristica».
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L´Aia, marzo. Lo squisito e piccolo Mauritshuis è una stupenda oasi o isola di calma e tranquillità. Tutte le immense masse turistiche sono evidentemente in fila ad Amsterdam, davanti all´ovvio Museo Van Gogh (che però non ha mostre speciali come ai suoi bei dì), e alla sezioncina del Rijkmuseum che espone i capolavori durante i restauri. Apparentemente, tutti ignari che per entrare senza code agli ingressi prenotati basta fare i biglietti su internet o acquistarli alle stesse agenzie che vendono il tour sui canali. Come a Parigi, dove le code al Louvre sono drammaticamente calate, da quando tutti i biglietti per musei e concerti si comprano ai grandi magazzini. Ma dunque, non dovendo stare in fila per ore, si perde ogni occasione di far nuove conoscenze interessanti.
Qui al Mauritshuis dove le sale sono pochissime, si può ricordare con sense of humour la mostra di Vermeer: le folle si premevano ai suoi dipinti e non facevano neanche un metro per entrare nelle sale di Rembrandt, deserte. E viceversa; poco dopo, alla mostra di Rembrandt: masse unanimi davanti alla sua Lezione d´Anatomia; e neanche un passo per la Ragazza con l´Orecchino o la Veduta di Delft.
Siccome qui il «piccolo lembo giallo» di un muro è sempre stato un feticcio per i fans di una famosissima pagina di Proust, certi vecchi parigini benevoli rammentavano che all´epoca delle scomparse "pissotières" a tre posti, da una finestra di Proust si potevano scorgere per ore i pantaloni gialli di qualche dandy ispiratore del personaggio di Charlus. Mentre in un altro orinatoio analogo passava le serate un famoso musicista, su uno sgabello da pianoforte portato da casa. E quando un agente di sorveglianza bussava discretamente sul bandone, «maestro, è mezzanotte», l´illustre compositore borbottava «ancora un momentino».
All´immenso Gemeentemuseum dell´Aia, invece, si espongono parsimoniosamente alcune opere di molte famose coppie artistiche del Novecento. Camille Claudel e Auguste Rodin, Marianne von Werefkin e Alexej von Jawlensky, i due Delaunay, i due Arp, i due Eames, Frida Kahlo e Diego Rivera, Georgia O´ Keeffe e Alfred Stieglitz, Lee Krasner e Jackson Pollock, Niki de Saint-Phalle e Jean Tinguely... Ma anche qui, visitatori rarissimi.
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Roma, aprile. Davanti ai molti angeli che si vedono o rivedono tutti insieme alla bella mostra del Beato Angelico, la più forte attenzione concerne l´attaccatura delle ali variopinte. Alle spalle, alle scapole, o direttamente ai manti di tipo invernale, lunghi fino ai piedi e ricchi di pieghe e sottovesti imbottite?
Nelle migliori processioni del secolo scorso, indubbiamente le alucce erano cucite agli abitucci degli orfanelli con voci impuberi e ceri in mano intorno al baldacchino del Santissimo. (E certi pii genitori, «a quell´oratorio, no!», senza spiegare il perché). E in quanto ai voli poetici, Gadda li giudicava «grotteschi e grulli per eccellenza» in qualsiasi abbigliamento ottocentesco o adamitico. «Nel timore, oltre tutto, che chi ci vola sopra la testa possa lasciar cadere qualcosa».
Invece, al nuovo museo ateniese del Partenone, dove un elegante soffitto-pavimento di cristallo divide due piani, già i soliti italiani da vacanza si affollano sotto per mirare non i reperti o i calchi, ma le mutandine o no che camminano sopra i loro occhi.
Neanche Giotto e i suoi seguaci, in altra mostra romana, approfondiscono il problema dell´attaccatura alare. Eppure forse in quella Firenze fucina di intelletti già prima di Leonardo si sarà fatta qualche ipotesi di volo umano «tipo Icaro», osservando nella natura (uccelli, insetti) il rapporto fra il peso del corpo e la forza alata? E non vi sarà stato qualche lazzo e beffa tra i mordaci fiorentini, così tradizionalmente schernevoli? Tutti quei Buffalmacchi?... I Selvaggi tra Maccari e Rosai...
Oltre tutto, col medesimo Angelico, si possono fare paragoni di ieri e di oggi. Nel suo Paradiso, i beati ricompensati sono lì tutti ammassati in piedi, come i turisti in fila alla biglietteria degli Uffizi. La sua Tebaide, invece, pare un ubertoso Chiantishire dove si passeggia e si va in visita fra colli e giardini. E ogni single fa come crede: ascesi umbre o Zen senza arpe né dorature né cherubini con trombette. O discrete fustigazioni da Mugello coi kit penitenziali estremi che tanti negozietti tuttora forniscono, anche nei paesi. Care memorie adolescenti: «In Tebaide è un´altra cosa, - com´è bello passeggiar. - L´aria è fresca, ed è Tea Rose - il profumo ad inebriar». Sempiterni caratteri, tuttavia, nelle lunghe durate. Nelle vignette con didascalie, sul meraviglioso Armadio degli argenti, al sepolcro pasquale vuoto un angiolotto avverte «Non est hic». Taluni visitatori leggono ad alta voce: «Non est chic». E invece lo è.
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Praga, maggio. No, davvero: Kafka non abita più qui.
Facciamo un flashback di mezzo secolo. Non era certamente la «città d´oro» dei film sentimentali tedeschi, con tetti e tramonti biondi come i capelli della «goldene» facciona Kristina Söderbaum. Praga, mai bombardata e intatta, nel dopoguerra era nera e grifagna sotto secolari fuliggini, facciate cupe tra guglie da maghi e streghe, vie spettrali e deserte. Quartieri sinistri che provocavano facezie lugubri: «Io Stare Mesto, Mala Strana currunt». Un Teatro Nero come versione macabra delle rivoluzionarie «luci di Wood» sulle prime fluorescenze al buio nei «concetti spaziali» di Lucio Fontana e nelle riviste di Wanda Osiris. Quindi, generale soddisfazione per le atmosfere «assolutamente kafkiane» in un´abbondante memoria storica e attuale di tirannidi all´ombra del Castello, con processi e roghi e torture, defenestrazioni, delazioni e repressioni diffuse tra vicini che si conoscono bene, e denunciano tutti, fra tremendi servizi segreti per le stragi anche all´estero.
Ora, invece, tutto lindo e chiaro; e «com´è bella la città, ma che brutta la gente». (Lo si può constatare all´Opera dabbene, quella famosa di Mozart, per un ottimo Rinaldo di Händel). In giro, enormi quantità di italiani: una dimostrazione concreta che i nostri ammortizzatori sociali ed economici, nelle grosse crisi, sono soprattutto le piccole imprese e i risparmi delle famiglie? E riempiono gli innumerevoli caffè nelle bellissime piazze centrali e storiche. Ma non più la celebre piazza Venceslao, talmente piena di cantieri e chioschi e baracchini da rendere impraticabile qualunque manifestazione. Per evitare le attese kafkiane al Castello, varie biglietterie.
Fra eserciti di passeggini con pupi e masse di allegri lazzi giovanili, le migliaia di italiani sciamano con telefonini e gelati fra le strade e i caffè intitolati a Kafka. Riempiono le sinagoghe e i cimiteri, malgrado il costo dei biglietti e dei ninnoli: ah, ci fossero un Lutero o un Calvino fra queste bancarelle. Folla al tempio di Loreto, in un trionfo barocco e rococò di angeli ridenti e santi sofferenti, tra i fronzoli dorati di una neurosi ossessiva: la fissazione che sia le Divinità sia i laici provino piacere ai nostri dolori e penitenze e sofferenze e masochismi e rinunce, mentre (cattivi!) si addolorerebbero per qualunque nostro (e non loro) piacere anche piccolo. Sia la Santa Casa lauretana, rinascimentale fuori e romantica dentro, sia il Sacro Bambino nero di Praga, sono stati donati dalle principesse Lobkowicz alla fine degli anni Venti del Seicento. I discendenti hanno aperto nel palazzo avito un eccellente museo con i Brueghel e i Cranach di famiglia: e vi si mangia benissimo.
Il sushi non abita ancora qui. Però, massaggi thai e meditazioni buddhiste nei luoghi già consacrati ai fattucchieri medioevali e rinascimentali, all´Armata Rossa o al Rude Pravo. Ancora targhe di «Komunistiké Strana Cekau» presso un negozietto fiorito di «Krimiserial» e a qualche scimmiottatura di minimalismi con lumini da «Una prece» sui tavoli. Grandiosità da Opéra Garnier, invece, allo spropositato Museo storico sulla Piazza Venceslao: ma nella megalomania marmorizzata, solo mineralogia e numismatica; e vetrine con divise e scarponi di fantaccini caduti. E il buon lettore kafkiano: sono più squallidi e opprimenti gli edifici della tirannide o degli archistar? O gli archivi polizieschi dei processi con torture e confessioni, saranno «bocconcini»?
Più turisticamente: l´Autoritratto di Picasso e «Bonjour Monsieur Gauguin» e i loro celebri coetanei abitano adesso in un «allucinanteee!» (ma più fascista che kafkiano) padiglione decentrato tipo vecchia Fiera di Milano, con migliaia di avanguardie ceche del Novecento. Alle pendici del Castello e del fast food, nel vecchio museo nazionale, rimangono i classici, fra cui alcune curiosità italiane. Di G. M. Crespi, «Il principe Carlo Albani riceve l´"Old Pretender" principe di York» in un giardino buio, senza neanche un lume. E «Il giardino delle antichità del principe Cesi»: un cortile vastissimo pieno di carrozze fra un Tevere piccolissimo e gran colli boscosi con torri e palazzetti in cima.
La mitica Karlsbad non appare credibile, oggi. A parte il demone del gioco, è documentato che venivano qui per purgarsi («passare le acque») tutti i massimi poeti e pensatori e romanzieri e musicisti e artisti e granduchi dell´Ottocento. Ma tuttora, dalla non lontana Praga, ci vogliono parecchie ore, giacché il treno fa due lati di un triangolo che arriva quasi a Dresda; e i bus prendono l´autostrada che è un terzo lato recente. Dunque, come ci saranno arrivati Dostoevskij e Beethoven e Schiller e Gogol e gli altri privi di carrozza propria? (E i romantici italiani, mai a Montecatini).
Lo squallore pare sempiterno, sulle due rive di un torrentuccio sassoso e facciate d´alberghi piuttosto desolati. Né granduchi né oligarchi russi: comitive soprattutto da Martinitt e Baggina (si direbbe a Milano: anziani e orfanelli), a spasso fra il Colonnato Gagarin, il Sanatorio dell´Amicizia Sovietica, la Passeggiata Marx, la Prospettiva Lenin. Faccione, culone, occhi metallici, nasi adunchissimi. Esercenti risentiti e scocciati, come ancora abituati alle arroganze e fannullonaggini statali sotto le tirannidi. Terminal crollanti, come appena bombardati. Sgorbi sui muri cadenti. Grovigli edilizi. Boschi attorno bellissimi.
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Forte dei Marmi, giugno. Piccoli oligarchi crescono? L´arrivo dei miliardari russi, vantaggioso per chi commercia in immobili, va arrecando gravami di imposte a chi possiede ville o casette e nessuna intenzione di affittarle o venderle. I nuovi capitalisti o granduchi siedono con ampie famiglie a un buonissimo ristorante di lusso, chiamato «Bistrot», con piccini totalmente assorbiti dai giochini computeristici, e indifferenti a ogni cibo. Dai migliori dizionari francesi si può apprendere che «bistrot» è un vocabolo russo registrato solo alla fine dell´Ottocento. Vuol dire «presto», e risale alle truppe dello zar Alessandro I, giunte a Parigi dopo la vittoria su Napoleone, e desiderose di un servizio sollecito.