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 2009  luglio 14 Martedì calendario

ASCESA E CADUTA DI UN REGNO


Prima ancora di chiederci se davvero lo "Almighty Dollar", l´onnipotente biglietto verde, diventerà come il Rublo che i sudditi dell´Impero Sovietico rifiutavano inorriditi, la domanda che si impone è: come è possibile? Come ha potuto, la nazione che appena 65 anni or sono aveva costruito in quella moneta il perno attorno al quale tutte le altre dovevano ruotare, svalutare il simbolo più eloquente e indiscusso della propria primazia mondiale? La risposta più semplice e diretta, fra le tante complesse, è nel filo che segnala l´andamento delle maree che hanno sospinto in alto e poi in basso il dollaro: la guerra. Parafrasando il libro dell´Ecclesiaste, «ciò che la guerra ha dato, la guerra gli ha tolto».
La storia dell´ascesa e della caduta del thaler è legata inseparabilmente alle fortune militari degli Stati Uniti. La sua adozione ufficiale come currency dei neonati Stati Uniti d´America nel 1792 proviene dalla vittoria di George Washington. Per sette decenni, fino al 1862 sarebbe rimasto, con variazioni di peso, quello che i padri fondatori avevano immaginato, una moneta poggiata sull´equivalente aureo o argenteo. Se fu trasformata in semplice carta da Abramo Lincoln, avvenne per finanziare la Guerra Civile. La riunificazione di Nord e Sud, lo slancio industriale del dopo guerra avrebbero riportato la moneta americana a nuovi rapporti fissi con i metalli preziosi, che avrebbero resistito anche alla Grande Depressione, almeno nominalmente. Ma sarebbe stata la Seconda Guerra Mondiale a fare del greenback, della "schiena verde", verde essendo sempre stato il colore della banconota, la moneta di riferimento per ogni altra valuta. Per altri vent´anni, pur sballottato da periodiche bufere monetarie il regno del dollaro sarebbe continuato, autentica valuta globale prima che la globalità divenisse luogo comune. Dal tassista israeliano che accettava di portare giornalisti in guerra sul Golan purché pagassero in dollari, al venditore di falsi Buddha in Birmania, qualsiasi transazione era possibile, purché in dollari.
Poi, venne un´altra guerra. Il Vietnam e fu l´inizio della fine. Come tutte le guerre fanno, sempre e ovunque, anche il Vietnam ebbe un solo e sicuro risultato, quello di sfasciare i bilanci federali americani. Nella doppia, impossibile impresa di finanziare il Grande Stato Assistenziale voluto da Johnson per ammansire la popolazione e di alimentare insieme i costi del conflitto, il naufragio era inevitabile. Nel 1971, Richard Nixon dichiarò ufficialmente finita la convertibilità del dollaro in oro, e l´ingegneria costruita dopo la Seconda Guerra si sfasciò. Mai più, dalla fine del doppio mito della invincibilità della forza americana e del suo dollaro, il pronipote del tallero avrebbe riguadagnato la propria onnipotenza. Nel 2001, quando un´altra guerra si sarebbe abbattuta su di esso, George Bush avrebbe riaperto quella voragine di debito nazionale che il predecessore Clinton aveva cominciato a colmare con il "dividendo" della vittoria politica sull´Urss, producendo addirittura un sostanzioso profitto fiscale.
Nella suprema ironia di cui la storia è maestra, la guerra voluta a tavolino per riaffermare la superiorità americana anche sul XXI secolo, avrebbe devastato l´espressione più chiara e universale di questa supremazia, il dollaro. E dove non arrivò la guerra, sarebbe arrivato il settembre nero di Wall Street. Ora si legge che esportatori cinesi appendono il cartello «non si accettano dollari», come al tramonto dell´Impero Sovietico i cambiavalute dei cosiddetti paesi fratelli avvertivano che non accettavano Rubli. Siamo molto lontani da quell´umiliazione, ma molto più vicini a quel motto stampato proprio sui dollari come se l´Onnipotente fosse un banchiere americano: «In God We Trust». Confidiamo in Dio, ormai, più che nella Federal Reserve.