Renata Pisu, la Repubblica 12/7/2009, 12 luglio 2009
CELEBRANDO IL RITO DELLA LENTEZZA
Spazi vuoti dell´extra quotidiano, eremi, capanne di paglia Sono i luoghi dove i giapponesi da secoli officiano la cerimonia che si compie attorno alla preparazione della bevanda importata dalla Cina nel 900 dopo Cristo. Quella che per l´Occidente è una mistica lontana e misteriosa, per il Sol Levante è una visione della vita Ora, a testimonianza di una pratica che sopravvive, un libro ne racconta gli scenari
In molti uffici delle grandi imprese dove si affannano i "salarymen", gli addetti alle risorse umane hanno allestito sale dedicate alla meditazione
Un eremo, una capanna di paglia, delle lastre di pietra davanti alla soglia come fossero lì per volontà della natura mentre invece sono state disposte secondo una logica umana impercettibile ai non iniziati: un bacile basso, così per lavarsi le mani bisogna umilmente chinarsi. L´acqua è fresca, appena attinta dal pozzo e il Maestro la versa da una brocca che un ragazzo gli porge. Un´entrata che di nuovo costringe a abbassare la testa, a dimenticare il proprio rango. L´ospite della cerimonia del tè si è diretto alla capanna percorrendo un sentiero concepito in modo che non si scorga la meta. Sa però cosa l´aspetta. Lo spazio vuoto dell´extra quotidiano, un qualcosa di sublime: bere una tazza di tè. Tè matcha, cioè tè verde in polvere, non un´infusione ma una emulsione che tiene svegli e che in Giappone arrivò dalla Cina intorno al X secolo, assieme al buddismo nella versione chan, in cinese, zen in giapponese, perché serviva ai monaci meditanti a non addormentarsi, a non chiudere le palpebre.
Soltanto il Giappone però ha fatto del tè una religione, anzi una mistica in cui tutto si compenetra e riassume: visione della vita, estetica, filosofia… Chiesi una volta a una signora giapponese cosa significasse per loro la cerimonia del tè. E lei mi rispose: è come per voi la messa. Ma quanto tempo ci vuole per imparare a officiare una simile cerimonia? O apprezzarla in tutti i suoi reconditi significati? Mi rispose: quanto tempo ci vuole a suonare il pianoforte? Poche settimane per una strimpellata, una vita per essere un pianista.
Oggi tra i maggiori pianisti della scena mondiale, ci sono dei virtuosi giapponesi ma neanche un occidentale è in grado di officiare, credibilmente, una cerimonia del tè come ancora in Giappone, ai nostri giorni, si pratica: in molti uffici delle grandi imprese dove si affannano i salarymen, i nuovi samurai del Giappone del XXI secolo, gli addetti alle "risorse umane" hanno allestito sale da tè. Non all´inglese, per carità! Luoghi oscuri di meditazione, rigeneranti, studiati apposta per offrire un riposo ai guerrieri moderni.
Bere cerimoniosamente il tè era infatti un costume che in Giappone era diffuso non soltanto negli eremi monastici ma anche negli accampamenti militari della bellicosa era Momoyama, dove la cerimonia del tè ispirata allo zen insufflava i principi ultimi sulla vita e la morte. Fu allora che il celebrato maestro del tè Sen Rikyu (1552-1591), consigliere del grande daimyo Hideyoshi, codificò definitivamente la Cerimonia del tè secondo la forma wabi, la raffinata sublime estetica della semplicità, il rifiuto di qualsiasi orpello, la ricerca esasperata dell´apparente imperfezione, gesti cerimoniali talmente studiati da apparire frutto di improvvisazione, un concetto che è diventato tutt´uno con l´estetica zen. Pochi ospiti scelti che si danno convegno in una chashitzu, una casa del tè, costruzione effimera ai margini di un bosco o nell´angolo di un giardino, una stanza illuminata soltanto dalla luce che penetra dalla porta o da una finestrella, pareti grigie di terra, in un angolo il tokonoma, una nicchia dove esporre pochi fiori freschi, o una calligrafia; gli utensili, il braciere, le tazze, soffuse di wabi, la patina del tempo che le impreziosisce, disposti sul vassoio. E basta, niente altro, se non la comune aspirazione a isolarsi nel vuoto, nella non-mente. All´inizio si pronunciano a bassa voce i convenevoli d´obbligo, poi si tace. Questo predicava il Maestro Rikyu.
Ma il potente daimyo Hideyoshi concepiva in tutt´altro modo la cerimonia del tè: una sala sontuosa, un padiglione ricco di ornamenti, tutto un luccicare di ori e porpore, centinaia e centinaia di ospiti invitati a partecipare, dai nobili ai popolani ai quali, nella storica cerimonia del tè del 1587, venne servito non il costoso tè matcha ma acqua bollente e polvere di riso tostato. A Rikyu tutto questo non garbava.
Così, quando Hideyoshi espresse il desiderio di ammirare la fioritura dei convolvoli per cui andava famoso il giardino di Rikyu, il Maestro strappò tutti i fiori e ne conservò soltanto uno che espose nel tokonoma dentro la sua capanna del tè. Non per fare un dispetto a Hideyoshi ma nella speranza che il signore apprezzasse quell´unico convolvolo come archetipo, come forma concettuale e essenziale. Ma Hideyoshi se la prese e, alla fine, il conflitto estetico tra i due - in Giappone l´estetica sottintende una visione del mondo e della politica, non è semplice questione di gusti - si acuì al punto che il daymio ordino a Ryuku di fare seppuku. Il Maestro officiò un´ultima cerimonia del tè per il Signore e silenziosamente si diede la morte. Ma la sua concezione povera, minimalista, lo stile wabi, trionfò, e in Giappone i canoni e i gesti da lui codificati più di quattrocento anni fa vengono ripetuti ogni giorno, nelle case da tè che ancora oggi si edificano secondo gli stessi austeri e sobri dettami.
Difficile analizzare la struttura architettonica delle case da tè giapponesi, un genere artistico a sé stante, estremamente vario e personalizzato in quanto spesso sono edificate dallo stesso Maestro del tè che lì dentro officerà e che introduce dei suoi minimi tocchi, rivisita creativamente i canoni proponendo, sia all´esterno sia all´interno, diverse disposizioni dello spazio, in modo da adeguare liberamente l´insieme alla vaghezza della descrizione che il Maestro Okakura, nei primi del Novecento, ha dato dell´architettura della casa del tè: « dimora della fantasia in quanto struttura effimera costruita per ospitare un impulso poetico. dimora del Vuoto in quanto priva di ornamenti…. dimora dell´Asimmetrico in quanto consacrata al culto dell´Imperfetto…».
Dell´arte così giapponese e unica della casa dove celebrare la cerimonia del tè, compendio filosofico di uno stile di vita e di un atteggiamento mentale, rimangono tracce nell´architettura moderna del Giappone, non nei grattacieli ma nelle ville extra urbane dove la disposizione degli spazi, il rapporto tra esterno e interno, la scelta dei materiali di costruzione volutamente wabi, cioè "poveri", si richiama a una tradizione che rappresenta compiutamente la sensibilità giapponese, quale è stata forgiata dal connubio tra il tè e lo zen.