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 2009  luglio 12 Domenica calendario

LA RIBELLIONE DELLE FIGLIE


Torna l’intenso romanzo che descrisse l’upper class inglese e i suoi tormenti

Swinbrook House non era bella da vedersi e non aveva nulla delle affascinanti magioni inglesi con le torrette che svettano verso il cielo e i muri ricoperti d’edera: era un brutto e solido parallelepipedo grigio a tre piani, simile a una piccola caserma o a un manicomio privato, costruito con ampiezza di spazi perché i membri della numerosa famiglia proprietaria non si dessero eccessivo fastidio fra loro. Quanto a ciò che succedeva al suo interno, per certi versi e almeno in una sua prima fase non era troppo diversa dalle dimore aristocratiche inventate da Wodehouse, come il castello di Blandings, la residenza dell’eccentrico Lord Emsworth, appassionato di zucche e maiali e costantemente preoccupato per le avventure del figlio cadetto. Anche Lord David Redesdale, proprietario di Swinbrook, era preoccupato per i suoi figli, ma per ragioni più fondate: di figli ne aveva sette, un maschio e sei femmine, e le loro avventure erano di un genere decisamente incontrollabile. Almeno quelle di quattro delle sue ragazze, che sarebbero entrate nella leggenda del Novecento inglese come le famose o famigerate – è davvero il caso di dirlo – sorelle Mitford.
Nancy, la primogenita, prima di diventare una scrittrice mondana di successo, aveva aperto la strada alle sorelle con mosse piccole ma destabilizzanti in una famiglia in cui tutto ruotava attorno alla chiesa, al partito conservatore e alla Camera dei Lord: sigarette, capelli alla maschietta, ukulele. Poi però Diana, che era la più bella delle ragazze (la donna più bella della sua epoca secondo il sofisticato Evelyn Waugh), non solo aveva divorziato dal primo marito, ma si era in seguito risposata con sir Oswald Mosley, avventuroso capo dei fascisti inglesi, fregiandosi di avere come testimoni di nozze il signore e la signora Goebbels. Ma un’altra sorella, Unity, che come secondo nome, per profezia della sorte, aveva Walkyrie, fece ancora di più: diventò intima del führer e, quando le ostilità fra Inghilterra e Germania furono dichiarate, per disperazione si sparò un colpo in testa, rientrando in patria su una barella con una menomazione permanente, bersagliata dal dolore non meno che dai flash dei fotografi che nella famiglia Mitford avevano trovato la gallina dalle uova d’oro (molti anni dopo la sua morte, avvenuta nel ’48 per malattia, circolò su di lei un fosco pettegolezzo ripreso entusiasticamente dai giornali scandalistici: che al rientro in patria non fosse ferita ma incinta di un figlio di Hitler, dato poi in adozione e ormai tranquillamente circolante sul suolo inglese sotto nome sconosciuto).
In realtà, se non con gli eccessi di Diana (che a fine conflitto si trasferì a Parigi col marito diventando un punto di riferimento per molti nostalgici insieme ai loro vicini di casa, il duca e la duchessa di Windsor) e Unity, tutta la famiglia dei conti Redesdale faceva parte di quella non piccola fetta della buona società inglese che negli anni Trenta guardava con ammirata simpatia alla Germania nazista, tanto che quando Lord David e sua moglie Sidney furono portati a conoscere il führer si rallegrarono moltissimo. Ma in famiglia c’era una pecora nera o, come lei stessa si definì, una «pecora rossa»: Jessica, la penultima delle sorelle, nata nel ’17, che per reazione al clima famigliare e per qualche misteriosa ispirazione soggettiva divenne fin dalla più giovane età pacifista, socialista e infine una fervente militante del comunismo. Una storia, quella della sua giovinezza di privilegi ed eccentricità e poi del suo successivo e non meno eccentrico dirazzamento, che Jessica stessa racconterà in un libro divertente e commovente, Figlie e ribelli, scritto nel 1960, quando ormai da molti anni viveva negli Stati Uniti.
In America la ragazza, che tutti chiamavano Decca, c’era arrivata ventenne per amore della libertà e soprattutto per amore di un uomo, Esmond Romilly, un aristocratico come lei, nipote di Wiston Churchill, che a diciott’anni o forse prima era fuggito dal college per unirsi alle Brigate Internazionali nella guerra civile spagnola. Stufa della tirannia famigliare e assolutamente irresponsabile come tutti i Redesdale, Decca scappa di casa con degli stratagemmi da romanzo rosa e arriva in Spagna con Esmond inaugurando una vita d’amore e di avventure che si snoderanno tra la Francia e gli Stati Uniti, dove la coppia si rifugia alla vigilia della guerra senza soldi ma con molte lettere di presentazione per banchieri, scrittori, opulenti industriali e divini mondani. Esmond, che sapeva imbracciare un fucile ma non aveva mai imparato ad allacciarsi le scarpe, s’imbarca coraggiosamente in tutti i (pochi) lavori che gli offrono: agente pubblicitario, venditore porta a porta di calze di seta, barista tuttofare in un bar di Miami, oltre che scommettitore al tavolo verde e ai cavalli, mentre anche Decca lavora qua e là, sgomenta dalla mancanza di ideali delle sue colleghe della middle class.
Due corpi e un’anima: così si vivono questi due ragazzini di buona famiglia, metà amanti metà compari, che in Spagna sfuggono a un cacciatorpediniere inviato dal ministro degli esteri a ripescare la pecorella smarrita e a Londra, per un’epidemia di morbillo scoppiata nel quartiere popolare dove abitano tra una fuga e l’altra in un brutto condominio della working class, perdono la loro primogenita appena nata. Esmond, che «viveva con tutto se stesso nel presente», irresistibile perché «prevedibilmente imprevedibile», era, scrive Decca, il suo salvatore, il traduttore dei suoi sogni in realtà, tutto il suo mondo. Fino a quando si arruola nella Royal Canadian Air Force deciso a combattere contro il fascismo e resta ucciso in combattimento, nel novembre del ’41, a 23 anni.
La storia che Jessica Mitford racconta – e che è anche un ritratto dall’interno di quella upper class inglese eccentrica che ha ispirato tanta letteratura – si ferma qui, ma non la sua vita: ripudiato il protagonismo fascinoso e irresponsabile della prima giovinezza per acquisire quelle che le sembrano le virtù cardinali dei lavoratori nelle loro lotte per l’uguaglianza («pazienza, modestia, tolleranza e autodisciplina innata»), la giovane, vedova incinta e sola nel tempo di guerra, diventerà nel dopoguerra un’importante attivista dei diritti civili, imparando anche lei a vivere nel presente e dedicando al mondo di ieri perduto e ai suoi vezzi e privilegi solo le pagine ironiche e nostalgiche, leggere e intense del suo racconto.