Roberto Casati, Il sole 24 ore 12/7/2009, 12 luglio 2009
SE LE PAROLE SOMIGLIANO ALLE COSE
Uno studio americano mette in discussione la tesi del «Cratilo» platonico: tra segni e significati sussiste un legame non arbitrario rilevabile dalla mente umana
Ecco un fatto apparentemente incontestabile: non c’è niente nella parola "cavallo" che assomigli al cavallo; in altre lingue si usano parole molto dissimili, come "horse" o "Pferd". Questa è la tesi fondamentale dell’«arbitrario del segno» (linguistico): espressa da Ermogene, il personaggio del Cratilo platonico, contestata da Cratilo stesso, ripresa da de Saussure e assurta a testata d’angolo della linguistica moderna.
Fatto o dogma? Uno studio di Lynne Nygaard, Allison Cook e Laura Namy sul numero di luglio di «Cognition» mette i puntini sulle i. Dei soggetti monolingua dell’inglese hanno dovuto imparare delle parole del giapponese, in alcuni casi associandole con la vera traduzione in inglese, in altri con il suo opposto, e in altri casi con una parola a caso (l’associazione corretta era nota solo agli sperimentatori). Per esempio, "hayai" ("veloce") veniva in alcuni casi imparata come traduzione di "veloce", e in altri come traduzione di "lento", e in altri come traduzione di "spuntato". Risultato interessante: i soggetti imparano meglio la traduzione corretta! Ovvero, la ricordano meglio e più velocemente.
Non si sa esattamente che cosa favorisca le parole corrette; ma qualunque cosa esso sia, sembrerebbe indicare l’esistenza di un legame non arbitrario tra i segni e i significati che, per soprammercato, è tale da poter venir rilevato da menti come le nostre. Saremmo quindi più vicini a Cratilo che a Ermogene.
La tesi dell’arbitrario del segno non è certo destinata a evaporare dall’oggi al domani. Ma potrebbe venir ridimensionata dalla ricerca empirica, come tante altre teorie che soddisfano le nostre intuizioni da senso comune in quanto non sono altro che generalizzazioni del senso comune, senza contenuto scientifico.