Alberto Negri, Il sole 24 ore 12/7/2009, 12 luglio 2009
NELL’HELMAND GUERRA E DIPLOMAZIA
Primo test per la nuova strategia Usa: allontanare la popolazione dai talebani - IL RUOLO DI KABUL - Le reclute afghane affiancano in prima linea le truppe Nato, ma viaggiano su vulnerabili pick-up e sparano con vecchi kalashnikov
LASHKAR GAH. Dal nostro inviato
Nella valle di Helmand, tra pietraie desertiche e lunghe file di papaveri rossi, anche il soldato Ashmat combatte la sua offensiva contro i talebani. una delle reclute dell’esercito di Kabul lanciate in prima linea nell’operazione "colpo di spada". Ma a differenza dei tecnologici eserciti della Nato Ashmat atterra nella base di Shorabak, insieme ad americani e inglesi, impacchettato in un rumoroso Antonov russo con le panche di legno, spara con uno stagionato kalashnikov e viaggia su un pick-up di lamiera, vulnerabile a ogni tipo di esplosivo, anche quelli artigianali che qui fabbricano con i fertilizzanti, distribuiti dalla cooperazione internazionale per incoraggiare un’agricoltura alternativa, legale ma sempre perdente nella concorrenza con l’oppio.
In mezzo alla base di Shorabak, su una rotonda graziosamente dipinta di colori vivaci, è piazzato in bella vista uno di questi pick-up afghani, sventrato e annerito dall’esplosione di una bomba: un monumento un po’ macabro che vuole essere un efficace ammonimento alle reclute.
Per gli americani, scesi in campo con una nuova strategia - proteggere la popolazione, insediarsi nei villaggi, favorire la ricostruzione e soltanto dopo dare la caccia ai talebani - questa è la Seconda guerra afghana. La prima, dopo il crollo del regime del Mullah Omar nel 2001, in questi otto anni non ha ottenuto grandi risultati: il 50% delle aree rurali è in mano agli insorti, il labile stato afghano annaspa e potrebbe subire gravi contraccolpi se le elezioni presidenziali del 20 agosto non si svolgessero in maniera credibile. Per questo è scattata nel Sud-Est l’offensiva del 2 luglio, avviata con la più imponente operazione aviotrasportata dai tempi del Vietnam: 4mila uomini appoggiati da stormi di elicotteri che stanno bollendo nei 45 gradi di questo orizzonte dove terra e cielo hanno lo stesso colore, biancastro e polveroso. Ma questo Vietnam di Obama sembra avere, per ora, dimensioni decisamente diverse dalla guerra in Indocina.
Ashmat questa sera mangia con gli ufficiali un’abbondante razione di montone, riso e cipolla, prima di partire domani in missione nei villaggi intorno a Lashkar Gah, il capoluogo dell’Helmand e della coltura dell’oppio, oggi uno centri più talebanizzati del paese, mille anni fa capitale dell’impero turco dei Ghaznavidi che sulle rive del fiume hanno lasciato straordinarie rovine di palazzi fortificati. una strana offensiva questo "colpo di spada". Sono stati annunciati brutali combattimenti ma negli ospedali, anche in quello di Emergency, specializzato in chirurgia di guerra, sono arrivati pochi feriti, come conferma il medico italiano Marco Garatti. I talebani preferiscono ritirarsi senza accettare scontri frontali. Ma è davvero così? Tra giovedì e venerdì nell’Helmand sono stati uccisi ben otto soldati inglesi in 24 ore. La guerriglia risponde alla sua maniera, con agguati improvvisi e attentati: l’estate nell’Helmand è ancora lunga e torrida.
Il generale afghano Mayudin Ghouri indica una scuola di Lashkar Gah. «L’altro giorno siamo entrati per parlare con insegnanti e studenti: così abbiamo scoperto che molti ragazzi sono stati avvicinati dai talebani, che tentano di attirarli dalla loro parte offrendo una manciata di dollari a testa, e soprattutto droga da smerciare ai narcotrafficanti». Da posti come questo in Afghanistan viene l’80% dell’oppio e dell’eroina mondiale. Il generale è furibondo: «Ho già perso due uomini in questa operazione e non intendo lasciare che si infiltrino di nuovo». I talebani afghani non sono fuori che aspettano, sono dentro, nei villaggi, nelle città. E poi ci sono i rinforzi, che arrivano da oltre frontiera. «In Pakistan - spiega il comandante Ghouri - sono chiuse le scuole e così nelle istituzioni coraniche aumentano le reclute che si arruolano nella Jihad contro gli americani».
Una battaglia che il generale Ghouri, con i tratti carismatici di un khan mongolo, non conduce soltanto a colpi di fucile ma anche con diplomatiche discussioni con i capi tribali. Uno di questi è Gholam Ali Laleh, capo del villaggio di Lar, turbante bianco e lunga barba candida che si controlla specchiandosi in una lucente tabacchiera da dove estrae una mistura chiara, il naswar. Si siede accanto al generale per un’interminabile seduta dove si alternano dichiarazioni, battute, risate e invocazioni ad Allah. «Quando siete venuti qui - si lamenta - vi abbiamo aiutato a entrare ma adesso i talebani ci tengono sotto pressione: abbiamo molti problemi. Il governo afghano non fa nulla per noi mentre loro si danno da fare». Chiede la protezione del generale, che convoca anche uno dei suoi ufficiali, ma questa in realtà è una contrattazione: quanto mi date per passare dalla vostra parte? Gholam Ali si alza soddisfatto quando riesce a strappare una lettera di raccomandazione per ricoverare un parente nell’ospedale militare americano.
Il nuovo comandante dell’Isaf-Nato, il generale americano Stanley McChrystal - che guida 90mila soldati di 41 paesi, 57mila statunitensi che diventeranno in autunno 68mila - appare determinato a insediare avamposti stabili nell’Helmand: «Non vinciamo in base al numero dei talebani che uccidiamo ma alla nostra capacità di separare gli insorti dalla gente», ha dichiarato ai suoi uomini, aggiungendo: «Preparatevi a entrare nei villaggi e a sedervi con gli anziani bevendo una tazza di tè: anzi, dovrete sorseggiarne molte per avere successo in questa missione».
L’impiego dell’esercito di Kabul rientra in questa strategia: la guerra ai talebani deve diventare anche una guerra "afghana". Mettere insieme decine di migliaia di soldati non è stata un’impresa facile in un paese lacerato dalle divisioni etniche dove un pashtun non vuole prendere ordini da un tagiko. L’ultimo vero esercito afghano è stato quello addestrato dai sovietici 50 anni fa, che si dissolse con la fine del regime comunista nel ’92, per il resto il paese è stato preda di milizie e di orde guidate dai signori della guerra o talebani. Si è raggiunto adesso, faticosamente, il numero di 80mila soldati. «Ma per essere efficaci - dice il ministro della Difesa, l’anziano e corpulento Abdul Wardak - ne servirebbero almeno 200mila».
Intorno a Lashkar Gah non si respira un’atmosfera che fa presagire una svolta nella guerra afghana. Se ne accorge anche il soldato Ashmat quando cerca di chiamare casa: i talebani sono talmente forti che hanno costretto la compagnia telefonica Roshan a spegnere i ripetitori dei cellulari dalle sei di sera fino all’alba per evitare di essere localizzati dai comandi Nato. Sono così pericolosi che hanno convinto la popolazione a non ritirare le tessere elettorali: qui la campagna per le presidenziali non c’è e forse non interessa neppure. Se non mandassero le truppe, probabilmente qui ad agosto non si aprirebbero neppure i seggi. Poi, finite le cerimonie elettorali, se la Nato e gli americani non terranno le posizioni la guerriglia tornerà a farla da padrone, apertamente. Perché, come hanno detto e ripetuto molte volte i talebani, gli americani hanno l’orologio, noi abbiamo il tempo.