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 2009  luglio 12 Domenica calendario

IL SEGRETO SVIZZERO SOTTO ATTACCO


LE TAPPE - L’atto di nascita nel ’34, le polemiche nel Dopoguerra per il commercio dell’oro Offensiva Usa negli anni 80, poi i «nemici» Ocse e Ue

LUGANO.
Il giudice Alan Gold, del tribunale di Miami, è un nuovo protagonista nella vicenda del segreto bancario svizzero. Se non ci sarà un accordo tra le parti, da domani Gold inizierà un procedimento contro Ubs, accusata dal fisco Usa di favorire con il segreto evasioni e frodi, non fornendo i nomi dei clienti sospettati. l’ultimo capitolo, in ordine di tempo, di una lunga storia.
Il segreto elvetico nella sua forma per così dire moderna ha una data di inizio, il 1934. in quell’anno che il segreto bancario entra nella legge federale elvetica, dove ancora si trova. Viene fissato il principio che chi viola il segreto è punito con multa o detenzione. Due anni prima, nel 1932, la polizia francese si era impossessata dei nomi di migliaia di clienti nella sede parigina della Banca commerciale di Basilea.
Per la neutrale Confederazione, che si stava rafforzando come piazza bancaria, era stato un segnale preciso: il segreto doveva essere più stringente. Così, su una cultura già molto favorevole alla riservatezza, si innesca una legge, a tutela sia degli svizzeri che degli stranieri che aprono conti in Svizzera. Zurigo, Ginevra, Basilea nel giro di alcuni anni – Lugano seguirà più tardi con capitali in gran parte italiani – diventano roccaforti finanziarie. Secondo i critici del segreto, è solo un ottimo affare per le banche svizzere. Secondo l’interpretazione prevalente elvetica, è uno sviluppo non solo nell’interesse della Svizzera, ma anche di quanti vogliono mettere i loro beni al riparo prima dal nazismo tedesco e dai fascismi europei, poi dalla guerra.
Nel dopoguerra, la Svizzera subisce le polemiche per il commercio dell’oro fatto durante il conflitto con molti Paesi, Germania inclusa. Ci sono anche le prime avvisaglie della questione dei fondi ebraici giacenti, appartenenti alle vittime dell’Olocausto. Gli anni Settanta e Ottanta sono quelli delle prime offensive ampie degli Stati Uniti, che in collegamento ad alcune inchieste cominciano a far pressione sulla Svizzera perché tolga il segreto. Ci sono anche altre piazze finanziarie, tra cui il Lussemburgo e l’Austria, che hanno il loro segreto, ma la Svizzera è prima nella gestione di patrimoni off shore ed è più di altri nel mirino.
La Confederazione risponde che il segreto tutela i clienti e che fa parte della cultura elvetica non solo per i banchieri ma anche per medici e avvocati, ad esempio. Nell’opinione pubblica elvetica prende campo l’idea che l’attacco parta dagli Usa perché le banche svizzere fanno concorrenza diretta alle banche americane. Ma il governo elvetico e le stesse banche svizzere capiscono che qualcosa bisogna cambiare. Negli anni Ottanta comincia la mutazione. Berna recepisce nel giro di alcuni anni le norme antiriciclaggio e assicura la cooperazione giudiziaria per i reati penali. Le banche estendono la pratica della conoscenza del beneficiario economico dei conti: per le banche svizzere ci sono conti cifrati, sì, ma non anonimi.
Negli anni Novanta, altro giro di boa. «Peanuts», (noccioline), dice Robert Studer, all’epoca numero uno dell’Ubs, a proposito dei fondi ebraici giacenti, dopo l’esplosione della questione, tra il 1995 e il 1996. Sarà uno degli errori del potente banchiere. Nell’agosto del ’98 Ubs e Credit Suisse firmano a New York con le associazioni ebraiche, con il patrocinio dell’amministrazione Usa, un risarcimento di 1,25 miliardi di dollari a nome del sistema bancario elvetico. Per le banche rossocrociate sembra iniziare un periodo di calma.
Ma all’inizio degli anni Duemila compaiono tre ostacoli: Unione europea, scudi fiscali, Ocse. Con l’Ue la Svizzera sigla un compromesso che farà da apripista anche al Lussemburgo e ad altre piazze: euroritenuta per cittadini Ue non residenti che hanno conti in Svizzera, in cambio del mantenimento del segreto bancario. Nel frattempo, Berna subisce alcuni scudi fiscali europei, soprattutto i due italiani, a cui ora si sta forse per aggiungere un terzo. Le maggiori banche svizzere rafforzano la gestione on shore, con le filiali estere, per trattenere o raccogliere in loco i capitali. L’Ocse – arriviamo a questi mesi – vuole la collaborazione della Svizzera non solo sulle frodi, ma anche sull’evasione fiscale. Berna alla fine accetta, allenta il segreto anche se si oppone sempre alla "pesca" dei nomi, quella richiesta dal fisco Usa, e vuole invece cooperare caso per caso. «Il segreto bancario c’è ancora», dice il ministro delle Finanze, Hans-Rudolf Merz. Ed è vero, anche se è un segreto molto diverso da quello del passato. La storia continua.
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