Cinzia Leone, Il Riformista 12/07/2009, 12 luglio 2009
40 anni di Luna. Il piccolo passo di una leggenda - Dalla consolle di comando della "fire room" numero 1, accanto a Wernher von Braun, sarà un italiano, Rocco Anthony Petrone, a fare il conto alla rovescia e dare il "go" alla missione Apollo 11, il 16 luglio del 1969
40 anni di Luna. Il piccolo passo di una leggenda - Dalla consolle di comando della "fire room" numero 1, accanto a Wernher von Braun, sarà un italiano, Rocco Anthony Petrone, a fare il conto alla rovescia e dare il "go" alla missione Apollo 11, il 16 luglio del 1969. Il sogno americano per Rocco non era Huston, la Nasa e l’Apollo. Ma finì per diventarlo. I genitori, da Sasso di Castalda in Lucania, erano finiti dall’altra parte dell’oceano in cerca di fortuna. Rocco entra a West Point, poi al Mit, ma lascia la carriera militare per diventare direttore del programma Apollo. Lo chiamano "La tigre di Cape Canaveral". Miliardi di occhi quel 16 luglio sono incollati alle televisioni in bianco e nero per la diretta del big-one. L’orologio segna le 9.32. Meno dieci, nove, otto, sette… ignition! Il go dell’italiano è detto quasi in silenzio, con la voce rotta e lo sguardo fisso al monitor. Il viaggio è iniziato. La storia di Rocco la racconta Renato Cantore in La tigre e la Luna, edizioni Eri. Quarant’anni dopo cosa è rimasto dell’impresa spaziale che ha segnato il secolo? Le polemiche iniziano con le foto dello sbarco. Ritoccate o addirittura girate in studio da Stanley Kubrick, il regista che aveva appena completato 2001 Odissea nello spazio, sotto la minaccia di rendere pubblico il coinvolgimento col Partito Comunista del fratello Raul e con la promessa dell’uso delle lenti Zeiss ad alta luminosità, poi utilizzate per Barry Lyndon? La leggenda lunare è iniziata e già corre rischi. Il principale? La perdita del suo fascino. «Povera disgraziata Luna, ebete, senza amor proprio, senza fantasia. E gli uomini non ci troveranno niente. Constateranno che non è fatta neppure di formaggio, come ci dicevano da bambini, di emmenthal, coi buchi, Non un segno di vita, una traccia di remota civiltà, uno spillo, un fiammifero spento, un microbo fossile, un biglietto del tram. Niente di niente», scrive Dino Buzzati, sul Corriere della Sera pochi giorni prima dello sbarco. La complice dei sospiri d’amore sta per diventare un sasso. Ma anche i sassi hanno un valore. Spesso più dei sospiri. L’acquisto di certificati di proprietà di terreni lunari diventa legale dal 2000. La Moon Estate vende per 20 sterline un acro (4000 metri quadri) di terreno lunare. Nella Kabbalà, la Luna è il simbolo del popolo d’Israele, e l’israeliana Crazyshop vende pezzi di Luna a 97 euro all’ettaro. Terreni inutilizzabili ma con la costruzione di una base Nasa sul satellite entro il 2020 le prenotazioni sono in aumento. « una questione di lungimiranza - dice Yaron della Crazyshop - settant’anni fa se qualcuno avesse detto "compriamo terra in Israele" la gente avrebbe detto "perché dovremmo?"». Più di 55 milioni di acri di suolo lunare sono già stati venduti. «There is no business like moon business». E i centri aereospaziali diventano agenzie di viaggi. L’Energiya, la Nasa sovietica, inaugura un programma di viaggi a bordo di Soyuz. Ma gli Usa lanciano in orbita un italoamericano, Dennis Tito, il primo turista stellare che per 20 milioni di dollari affronta il viaggio nella navicella. La fila dei candidati si allunga. L’inafferrabile Luna è diventata merce di scambio? Tutto è cambiato dalla prima passeggiata sul suolo lunare. La Luna, femmina oggetto simbolico della contesa, è ormai posseduta. Mito e letteratura l’hanno ingigantita, ma la scienza e la sfida che ne è parte integrante, la rimettono al suo posto: un satellite senza luce propria, da sfruttare, vendere e comprare. I sovietici avrebbero voluto raggiungerla nel ’67, cinquantesimo anniversario della Rivoluzione d’Ottobre, e quella sconfitta simbolica segna l’inizio del declino. Gli americani vogliono arrivare primi per battere i sovietici e per far dimenticare i problemi razziali e la guerra del Vietnam. La Luna raggiunta ed esplorata si banalizza. Ma quella sognata e simbolica resiste. Negli arcani dei Tarocchi è archetipo dell’irrazionalità e del mistero, del "vedere" oltre la realtà, del potere femminile, fluido, intuitivo e irrazionale, contrapposto a quello maschile e razionale del Sole. Legata all’esoterismo e alla stregoneria, la Luna, ormai raggiunta, cambia posto nell’immaginario collettivo. Ciò che si possiede spesso finisce per perdere valore. Ma quello che si è smarrito? «Le lacrime e i sospiri degli amanti, l’inutil tempo che si perde in giuoco, e l’ozio lungo d’uomini ignoranti, vani disegni che non han mai loco, i vani desider sono tanti, che la più parte ingombran di quel loco: ciò che in somma qua giù perdesti mai, là su salendo ritrovar potrai». Tutto quello che si perde sulla Terra, per l’Ariosto dell’Orlando Furioso, è nascosto nei crateri lunari. Soprattutto il senno degli uomini, e quello di Orlando, raccolto in ampolle poiché è un liquido «atto a esalar, se non si tiene ben chiuso». E se la ragione degli uomini è lassù vuol dire che sulla Terra non è rimasta che la pazzia. Astolfo con l’ippogrifo, il Barone di Munchausen con un pallone, Verne nel suo Dalla Terra alla Luna con una macchina. Raggiungere la Luna è la metafora del viaggio. Federico Confalonieri, scrittore e cospiratore carbonaro risorgimentale, pubblica nel 1818 una novella con protagonista Fric-Frac, un abitante della Luna con un nome circense, che parte da un mare lunare molto vicino al mare della Tranquillità (dove finirà per sbarcare 150 anni dopo la navicella dell’Apollo) e atterra a Babilonia. Verrà catturato ed esposto a pagamento come accade all’astronave del protagonista di un Marziano a Roma di Flaiano. Destinata ad essere simbolo di contesa la Luna, odiata dai futuristi, diventa la bandiera antiromantica di Marinetti in Uccidiamo il chiaro di Luna. Ma Buzz Aldrin e Neil A. Armstrong non trovarono ampolle o Fric-Frac ad aspettarli sulla Luna. Lo sguardo sentimentale e simbolico muta. Le imprese spaziali, con il loro carico di marketing politico continuano, il realismo visionario anche. La fantascienza inizia la sua avventura. In Italia la racconta dal ”52 Urania, una collana della Mondadori. Mostri sacri come Asimov, Ballard, Clark o Dick, e italiani con pseudonimi americaneggianti, tutti pubblicano per la collana guidata per vent’anni da Fruttero & Lucentini e la tiratura tocca le 50mila copie. In copertina dal ”62 compare il cerchio rosso, l’oblò lunare voluto da Anita Klinz, l’art director della Mondadori, una porta magica che segna il passaggio all’altra dimensione. Da quell’oblò il lettore guarda ed è guardato. E sono le illustrazioni dell’olandese Karel Thole, che non amava i libri di fantascienza, non leggeva nemmeno i manoscritti, appassionato di Esher e di Bosh, a fare il resto. L’avventura spaziale e la fantascienza lasciano segni anche nella moda. I favolosi anni Settanta, tutti plastiche, vernici in cui usavamo lo stesso stilista, gli stessi materiali e soprattutto gli stessi colori fluorescenti per le bacinelle per lavare i panni, l’impermeabile, la poltrona, gli stivali, la cornetta del telefono e le collane sono segnati dallo sbarco sulla Luna. il momento di Barbarella e Courrèges, la Costa Azzurra e l’usa e getta, i giubbini luccicanti e gli stivali antipioggia. Del finto e del popular. Le nuove plastiche si spalmano leggere, resistenti e traspiranti su capi da fantascienza onirica, più adatti alle passeggiate nello spazio che alle file alla posta. Le mode passano, il pianeta resta. E la Luna invece di avvicinarsi si allontana. Della sfida tra le due superpotenze, per fortuna, rimane poco. «One small step for man, one giant leap for mankind», la frase di Armstrong diventa una bandiera per l’industria. La spedizione dell’Apollo dal punto di vista scientifico non servì a molto. Ma le cifre incredibili spese per la sfida furono un volano per l’industria americana. Con le imprese spaziali comincia la miniaturizzazione dell’elettronica: dall’Apollo all’I-Pod, della corsa alla Luna resta il microchip. Il moonwalk di Michael Jackson, il passo di danza che prende il nome da una canzone simbolo dei diseredati, è l’ultimo omaggio a un sogno planetario. Un passo scivolato, uno spostarsi all’indietro dando l’illusione di camminare formando un cerchio "lunare". Jackson non l’ha inventato, è figlio della cultura nera: della capoeira ballata dagli schiavi di Bahia, del tip tap di Cab Calloway, della breakdance dei ghetti metropolitani. Dei neri che grazie ai quei passi sghembi e ribelli hanno sognato di prendersi la Luna. E con Obama, metà bianco e metà nero, proprio come Michael avrebbe voluto essere, un po’ ce l’hanno fatta. Insieme al primo passo di Neil Armstrong sul suolo lunare, rimane quello di Michael Jackson, che al centro della Luna disegnata dalle luci del palcoscenico, pretendeva di camminare in cerchio, restando fermo. Impossibile? Michael, un nero, era capace. Rocco Anthony Petrone, un italo-americano emigrante di Sasso di Castalda, riesce a dare il "go" all’avventura spaziale in un paese dove i sogni si realizzano davvero.