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 2009  luglio 12 Domenica calendario

Il torturatore antisemita che ha sconvolto la Francia Parigi. L’esito del processo era abbastanza scontato, almeno nella parte che lo riguardava

Il torturatore antisemita che ha sconvolto la Francia Parigi. L’esito del processo era abbastanza scontato, almeno nella parte che lo riguardava. Che per Youssouf Fofana sia stata pronunciata una pena all’ergastolo con 22 anni di detenzione in sicurezza, non è una sorpresa. Ma infliggendogli il massimo consentito dal codice francese, il tribunale di Parigi non ha sciolto i dubbi, non ha risposto alle inquietudini dei francesi che per due mesi hanno seguito il processo alla sedicente Gang dei barbari: come è possibile rapire, torturare e uccidere con tanta accanita crudeltà un proprio coetaneo? Quale può essere il movente che induce a sfigurare, bruciare, colpire e pugnalare per giorni un proprio simile? Sicuramente non il riscatto, e difficilmente si può credere che un antisemitismo primario e stereotipo possa bastare. Chi sono questi barbari che nel gennaio del 2006 hanno sequestrato e ridotto con lentezza e sadismo il ventitreenne Ilan Halimi alla morte? E soprattutto, chi è il loro capo, Youssouf Fofana: un demone impermeabile al senso di colpa? Fin dove il male può essere banalizzato, la crudeltà diventare ludica? Ecco, a tutto questo il processo nella sua messa in scena simbolica non ha potuto dare una risposta, ma nella sua burocratica essenza ha cercato solo di ricostruire fatti e distribuire pene. Nel gennaio del 2006, una giovane e bella ragazza abborda Ilan a Parigi. Il giovane, commesso in un negozio di telefoni cellulari, cede alle avance della bellezza e ottiene un appuntamento per la sera del 20. L’esca ha funzionato. In precedenza, per ben cinque volte le vittime designate dalla ventina di giovani della banlieue Nord, che si fanno chiamare la "Gang dei barbari", avevano solo sfiorato la tragedia. Ma Ilan ci casca e nel momento in cui riaccompagna a casa la giovane diciassettenne, cade nella trappola organizzata da Fofana per estorcere il denaro agli ebrei. Ilan è stato prescelto in qualità di membro della comunità ebraica parigina. «Gli ebrei sono ricchi» va predicando Fofana ai suoi. La famiglia della vittima è invece di modeste condizioni e progressivamente il capo dei barbari abbassa le pretese passando dalla richiesta iniziale, 450mila euro, ad un riscatto ben più basso, 5mila. Ma gli stereotipi che organizzano le idee di Fofana sono ben radicati, e il capo decide di cercare su internet il nome di un rabbino cui chiedere il riscatto. La solidarietà della ricca comunità verrà in aiuto alla famiglia. Intanto Ilan giace sul pavimento di una cantina. L’inverno è particolarmente freddo in quei giorni, e il giovane è quasi nudo, legato mani e piedi, bendato. I suoi carcerieri gli spengono le sigarette addosso, col taglierino gli tagliano le carni, lo colpiscono con mazze, pugni e calci. Per ventiquattro giorni, fino a che il capo decide di sbarazzarsene dopo avergli inflitto qualche coltellata. Il giovane, ancora vivo, viene cosparso di acido e abbandonato nei pressi di una ferrovia. Ritrovato la mattina del 23 febbraio all’alba, Ilan muore nell’ambulanza che corre verso l’ospedale. Piano piano gli inquirenti fermano oltre venti barbari tra i diciassette e trent’anni, ma Fofana è già scappato, volato verso la Costa d’Avorio, paese dei genitori. La giustizia francese lo cerca, lo trova e lo fa estradare. Due mesi e mezzo fa, quando il processo è cominciato, i francesi hanno potuto leggere di questo demone che alle udienze si prende gioco dei familiari della vittima, che rivendica il proprio gesto, che lancia le scarpe alla parte civile. «Volevo prendere i soldi agli ebrei per liberare gli africani. Odio gli ebrei». Fofana ha cercato di travestirsi da martire, ha ammantato i propri discorsi cinici con un antisemitismo primitivo, si è presentato come il capo di una banda di fedeli (i barbari hanno preso pene fino ai 15 anni). In realtà il contesto in cui questa crudeltà è maturata non ha niente di diverso dalle tante banlieue francesi che nella ghettizzazione sociale e razziale disgregano le identità. Fofana ha il curriculum di tanti altri giovani come lui: fallimento scolastico, un’adolescenza di furti e rapine, la disoccupazione, qualche passaggio in galera. E come tanti, dicono gli psichiatri del processo, un odio verso di sé che si riversa sull’altro. Ma anche tutto questo, può bastare a capire la banalità con cui il demone Fofana continua a scherzare con la sua crudeltà?