Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  luglio 11 Sabato calendario

L’impossibile equazione tra volere più energia e meno emissioni di CO2 - Il mondo ha bisogno di più energia

L’impossibile equazione tra volere più energia e meno emissioni di CO2 - Il mondo ha bisogno di più energia. Molta di più. Secondo le stime dell’Agenzia internazionale per l’energia (AIE), entro il 2030 la domanda globale di energia aumenterà di almeno il 60%. Nel frattempo, in tutto il mondo, i responsabili delle politiche economiche concordano nel dire che, se vuole che le sue concentrazioni nell’atmosfera si stabilizzino a un livello relativamente basso, il pianeta deve drasticamente ridurre le sue emissioni di anidride carbonica. Ma, dato che oggi quasi tutta l’energia consumata nel mondo deriva da carburanti fossili che emettono anidride carbonica, come può il pianeta produrre l’enorme quantità di nuova energia necessaria per sostenere lo sviluppo e la prosperità, e allo stesso tempo ridurre le emissioni di anidride carbonica? proprio questo il problema che blocca i negoziati per la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici da quasi vent’anni. Nonostante l’apparente impegno assunto dai politici a ridurle, negli ultimi dieci anni le emissioni sono regolarmente aumentate. Allora, come possiamo decarbonizzare l’economia globale? A livello basilare, esistono solo due soluzioni. Una è che il mondo sostituisca le risorse energetiche che producono anidride carbonica con risorse a impatto zero di carbonio. Il che non esclude la possibilità di continuare a contare sui carburanti fossili che emettono CO2, dopo aver trovato però il modo di eliminare il carbonio dall’atmosfera, intervenendo alla fonte o direttamente nell’aria. La seconda opzione è quella di aumentare l’efficienza energetica, vale a dire "fare di più (o lo stesso) con meno energia". Se i responsabili delle politiche economiche e il pubblico chiedono una crescita economica continua - il che non è assolutamente in discussione - semplicemente non esistono altre alternative per decarbonizzare che aumentare la produzione di energia a impatto zero e l’efficienza energetica. Tutto il dibattito sulla politica energetica si è praticamente concentrato su sistemi molto indiretti e controproducenti per ridurre le emissioni. L’approccio preferito da molti governi è stato quello di aumentare il prezzo dei carburanti fossili come strategia per raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni in termini numerici e temporali. Questa strategia parte dal presupposto che, intervenendo sul costo del carbonio - attraverso una tassa o, preferibilmente, con l’imposizione di limiti e la vendita di permessi di emissione negoziabili o cap-and-trade - diventerà più conveniente sviluppare fonti energetiche che non producano CO2. Ma questa soluzione fa acqua da tutte le parti, nonostante l’ampio riconoscimento di cui gode per la sua eleganza teoretica. Imporre un prezzo alle emissioni significa far aumentare il costo delle fonti di energia che emettono carbonio. E il punto è proprio questo. Gli aumenti causeranno disagi economici ai consumatori finali di energia. Questi disagi, dicono i sostenitori della teoria, favoriranno la scoperta di fonti di energia a impatto zero, che con il passare del tempo andranno a sostituire quelle che usiamo oggi. Sembra un’idea meravigliosa, ed è proprio per questo che è alla base delle raccomandazioni che troviamo in autorevoli documenti come lo Stern Review Report inglese o quelli del Foro intergovernativo sul cambiamento climatico (IPCC). Ma la scomoda realtà è che imporre un prezzo alle emissioni causa disagio economico a chi consuma energia, cioè ai cittadini, che spesso sono anche elettori. E creare disagi ai propri elettori è esattamente il contrario di ciò che ogni politico desidera fare. Ci vuole una bella fantasia per pensare che i politici vogliano andare consapevolmente in questa direzione. Perciò si discute molto su politiche come il Sistema europeo di scambio delle emissioni e sulla legge equivalente appena approvata dal Congresso degli Stati Uniti. I loro sostenitori lo ritengono semplicemente un primo passo per imporre un costo ancora più alto alle emissioni di carbonio. Ma i politici considerano accettabili queste scelte solo se non danneggiano troppo i consumatori, vale a dire, se sono inefficaci. Un perfetto esempio di queste dinamiche lo possiamo osservare proprio nella legge americana di questi giorni, un imponente insieme di norme sul cap-and-trade pieno di scappatoie, valvole di sicurezza, limiti di prezzo, compensazioni e clausole di recesso che hanno il solo scopo di vanificare le finalità della legge. Il disegno di legge Waxman-Markey praticamente consente che le emissioni degli Stati Uniti continuino a crescere all’infinito. I suoi sostenitori probabilmente hanno pensato che ottenerne l’approvazione in qualsiasi forma fosse meglio che non avere affatto una legge, nella speranza di poter rimediare ai suoi difetti nei prossimi anni. Ma è un sistema molto rischioso. E questo tipo di approccio non funziona neanche a livello mondiale. Noi abitanti del mondo ricco ci possiamo permettere standard di vita molto alti grazie alla facilità che abbiamo di accedere a riserve di energia a poco prezzo praticamente illimitate. Gli abitanti del mondo in via di sviluppo vorrebbero avere gli stessi standard di vita e stanno facendo tutto quello che possono per raggiungerli. Sia la Cina che l’India hanno già dichiarato esplicitamente che non accetteranno limitazioni alla possibilità di usare più energia finché le condizioni di vita dei loro cittadini saranno tanto inferiori a quelle dei loro omologhi occidentali. L’affermazione poi che i Paesi in via di sviluppo accetteranno accordi vincolanti sulle emissioni di carbonio se li accetteranno gli Stati Uniti è poco più che un atto di fede, perché tutte le prove di cui disponiamo indicano il contrario. Se vogliamo veramente ridurre in modo drastico le emissioni di anidride carbonica del pianeta e al tempo stesso aumentare la quantità di energia di cui la sua popolazione può disporre, dobbiamo prima di tutto renderci conto che questi metodi sono impraticabili, nonostante i loro meriti teorici. Più di venti anni di tentativi di applicarli mentre le emissioni continuavano ad aumentare, dovrebbero essere sufficienti per capire che è ora di provare un sistema diverso. Dobbiamo ammettere la futilità di partire con un obiettivo e chiedersi solo più tardi come lo si può raggiungere, senza aver prima calcolato se quell’obiettivo comporta un tasso di decarbonizzazione realistico o praticabile. La scomoda realtà è che nessuno sa in quanto tempo una grande potenza economica può eliminare le emissioni di CO2. Il miglior esempio di questa visione in retrospettiva è la legge sul cambiamento climatico del Regno Unito che, se venisse presa sul serio, richiederebbe uno sforzo economico equivalente alla costruzione di trenta nuove centrali nucleari entro il 2016, solo per non perdere di vista i suoi ambiziosi obiettivi. Inutile dire che questo non succederà. Se si mette la decarbonizzazione al centro di una politica energetica, per raggiungere specifici obiettivi di stabilizzazione il tasso di riduzione dovrà superare non solo quello di crescita economica, ma anche i tassi di riduzione osservati storicamente nelle grandi economie.Dato che nessuno sa in quanto tempo una grande economia può decarbonizzarsi, qualsiasi politica energetica dovrà essere incrementale, richiederà continui aggiustamenti sulla base della capacità dimostrata di accelerare la decarbonizzazione. Stabilire obiettivi e scadenze per la riduzione delle emissioni senza sapere se sono raggiungibili è solo finzione politica. Se le emissioni del pianeta devono essere ridotte dell’80 per cento entro la metà del secolo, il mondo dovrà raggiungere tassi di decarbonizzazione che non sono mai stati raggiunti dalle grandi economie negli ultimi decenni. Di conseguenza, le politiche dovrebbero concentrarsi meno sugli obiettivi e sulle scadenze e più sul processo e sui vari passi da fare. Per esempio, sarebbe molto sensato stabilire obiettivi e scadenze per l’aumento di efficienza in alcuni settori, e l’incremento di fonti di energia a emissioni zero sarebbe un passo nella giusta direzione. Un forte impegno a innovare consentirebbe a nuove tecnologie di contribuire a raggiungere gli scopi. La tanto derisa proposta giapponese si basa proprio su questo tipo di approcci diretti, ma viene criticata perché si allontana dal metodo inefficace scelto a livello internazionale. Qualsiasi strada si scelga, modificare l’intera economia energetica del pianeta richiederà uno sforzo enorme per decine di anni. Qualsiasi altra cosa semplicemente non funzionerà. Le dichiarazioni di buone intenzioni e le giustificazioni teoriche non sono una soluzione. Un approccio diretto e incrementale alla decarbonizzazione, invece, può essere una soluzione. Prima cominceremo e meglio sarà.