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 2009  luglio 11 Sabato calendario

L’industria dei sensi di colpa - Se i vertici internazionali sono una grande passerella, va reso atto a Silvio Berlusconi di aver esaltato il significato più vero del G8

L’industria dei sensi di colpa - Se i vertici internazionali sono una grande passerella, va reso atto a Silvio Berlusconi di aver esaltato il significato più vero del G8. La scelta dell’Aquila è stata perfetta, e ha ricordato al premier che i flash possono scattare anche lontano da villa Certosa. Ma la "passerella" dei summit, come luogo dello spirito, da anni si sceglie l’Africa - e così è stato anche ieri. Sia Berlusconi sia Obama, nei loro interventi conclusivi, sono ritornati su un aneddoto. «La frase più emozionante l’ha detta Gordon Brown ricordando la storia di un ragazzo africano di 12 anni che sognava di diventare un giocatore di calcio ma morì tra le braccia della madre - ha detto il Cavaliere - Alla donna che piangeva questo ragazzo disse: "Mamma non ti preoccupare, vedrai che fra poco arriveranno le Nazioni Unite". Le Nazioni Unite non sono mai arrivate o sono arrivate troppo tardi».  giusto, è positivo, è razionale, che dopo anni di comodi e ciechi vagheggiamenti i grandi del mondo si interroghino sul senso e la reale capacità di intervento delle istituzioni sovrannazionali. Lo è di meno che continuino a camminare sul filo di un’illusione. Che debba arrivare la cavalleria. Che qualcuno, sia l’Onu o altri, debba planare sui deserti africani, per prendere per mano questo continente allo stremo e reindirizzarlo verso lo sviluppo e la crescita. L’eredità dell’imperialismo ha due facce. Quella buonista, che in omaggio al relativismo imperante e sotto il giusto peso del passato coloniale, si rifiuta di ragionare su modelli da proporre al resto del mondo. E l’altra, il rapporto in denari fra Paesi sviluppati e no. Ciò che avviene è cosa nota. Gli studi di Dambisa Moyo, di Paul Collier, di William Easterly hanno solo dato migliore visibilità e rinnovata evidenza empirica a mali che già cinquant’anni fa l’"economista dissidente" Peter Bauer denunciava agli occhi del mondo. I grandi distribuiscono aiuti con lo spirito con cui si fa l’elemosina. Quando si dà l’obolo, si presta scarsa attenzione al modo in cui esso viene speso. L’elemosina si fa perché fa star bene noi. Perché la nostra cultura, la pressione sociale, l’empatia col prossimo, ci fanno sentire "in colpa" per ogni persona che sta ai margini della nostra società e che ci capita di incrociare. Questo è lo spirito degli aiuti allo sviluppo. Che sta tutto nelle dichiarazioni di Obama e Berlusconi. Serene e rassegnate confessioni di un senso di colpa. Un dramma è accaduto, e l’Onu non c’era. E noi non c’eravamo. Ma l’Onu, anche funzionasse come un orologio svizzero, non potrebbe essere ovunque. Né il nostro obolo potrebbe fare, davvero, la differenza. Non c’è società, nella storia del mondo, che si sia sviluppata così. Donare può essere commendevole. Non basta. impossibile immaginare che interi Paesi escano dalla miseria perché sono stati messi in condizione di distribuire "aiuti". Per uscire dalla povertà, c’è solo una possibilità: crescere, ovvero creare ricchezza. Creare, non ricevere. Per creare ricchezza, i Paesi africani non hanno bisogno di "regali". Hanno bisogno di un po’ d’aiuto, in termini non monetari. Hanno bisogno che i nostri Paesi ricchi si aprano alle loro merci, smettano di rendersi complici di una catastrofe umanitaria, quella che si perpetua ogni volta che un dazio commerciale rende assurdamente costoso un frutto, una verdura, un gamberetto proveniente da quei lidi. Hanno bisogno che i Paesi occidentali smettano di far loro una concorrenza sleale: cioè che aboliscano le protezioni e i sussidi all’agricoltura. Con che faccia, Berlusconi e Obama, possono parlare di aiuti all’Africa, quando la politica agricola europea e il suo equivalente americano sono fatti per rendere impossibile alle derrate africane il raggiungere i nostri mercati? E i Paesi africani hanno bisogno anche di cose che noi non possiamo dargli: di attrarre investimenti esteri, dandosi regole certe e conoscibili agli imprenditori; di incentivare l’afflusso di forza lavoro ed energie vive nel privato, e non nel pubblico; di sviluppare un’attitudine imprenditoriale diffusa, un’autentica vocazione alla crescita. Nulla di questo dipende da noi. Obama e Berlusconi potrebbero impegnarsi perché l’Occidente la smetta di avvelenare e costringere alla fame o all’emigrazione i dodicenni africani. La promessa di sfamarli è al di fuori delle loro possibilità. anche una promessa su cui nessuno potrà mai inchiodarli al muro per le loro responsabilità. Al vasto circolo di sostenitori degli aiuti basta moltiplicare le buone intenzioni, le enunciazioni di principio, gli sguardi commossi di chi si appresta a dare l’obolo. L’industria del senso di colpa è congeniale ai grandi del mondo. Ma non produce niente. Semmai, spreca.