Fabrizio Galimberti, ཿIl Sole-24 Ore 10/7/2009;, 10 luglio 2009
IL PAESE CHE VIETA LA MINERALE
Bundanoon e Venezia. Non ci sarà mai un gemellaggio fra la Serenissima e questo villaggio di 2mila abitanti, sugli altopiani meridionali del New South Wa-les, in Australia. Ma c’è certamente un idem sentire sul problema dell’acqua minerale. Il sindaco di Venezia Massimo Cacciari esorta a bere l’acqua del rubinetto e a lasciar perdere le bottiglie di acqua minerale, che pongono problemi di inquinamento e di smaltimento. Non risulta che Venezia abbia indetto un referendum sull’argomento, ma Bundanoon ( un nome aborigeno che significa «luogo di profondi crepacci ») lo ha fatto; o per meglio dire, non è stato proprio un referendum ma piuttosto, sullo stile dell’antica democrazia ateniese, una riunione di popolo. Una riunione che si è conclusa con una decisione che va ben al di là delle esortazioni di un sindaco: la vendita dell’acqua minerale in bottiglia è stata proibita.
In bundanoonesi sono orgogliosi: sono la prima comunità al mondo che ha messo al bando l’acqua in bottiglia. E il Comune ha installato un paio di fontane per chi voglia bere dal rubinetto in strada. Il nuovo sentire ecologico, insomma, fa strada: lo sapete, dicono, che una bottiglietta di 0,6 litri di acqua minerale ha bisogno, per esser prodotta, di 0,2 litri di petrolio? E questo senza contare l’anidride carbonica emessa nella fase di trasporto e di refrigerazione; e senza contare l’inquinamento visivo delle bottiglie abbandonate e l’affollamento delle discariche o l’energia consumata per riciclare plastica o vetro.
L’industria dell’acqua minerale ha ricevuto un secondo colpo: il premier del New South Wales Nathan Rees ha proibito alla sua amministrazione l’acquisto di acqua in bottiglia, inclusi i bottiglioni per riempire i distributori di acqua negli uffici: anche qui la ragione sta nell’«impronta di carbonio» delle bottiglie.
Più a sud, nella Tasmania, la cittadina di Coles Bay può vantare un altro record: dal 2003 ha proibito l’uso delle buste di plastica nei negozi, un’interdizione che ha preceduto di molto la consimile iniziativa adottata da San Francisco due anni fa.