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 2009  luglio 09 Giovedì calendario

LO SCIAME SISMICO DELLA CRISI


Un documento ad amplissimo raggio, frutto di mesi di lavoro delle maggiori diplomazie mondiali e approvato rapidamente dai vertici del G-8; un impegno, solenne ma generico, a risolvere pressoché tutti i problemi del pianeta, dall’inquinamento alla povertà. Buone parole, senza dubbio pronunciate con più determinazione del passato, che lasciano spazio a maggiori speranze; per il momento, però, solo buone, bene auguranti parole. Intanto il Fondo Monetario continua nel valzer delle previsioni con cifre che, come le precedenti, saranno cambiate di qui a pochi mesi o a poche settimane e che mostrano semplicemente che la ripresa, che si spera arrivi presto, è comunque spostata un po’ più in là, al 2010.
C’è qualcosa di un po’ irreale in ogni riunione del G8 ma particolarmente in questa che vede i leader delle maggiori potenze del pianeta riuniti a convegno in una città in cui la terra non smette di tremare per parlare di un’economia globale che non smette di sobbalzare.
Questi sussulti paralleli accentuano una sensazione generale di incertezza e proprio l’incertezza economica globale costituisce, nei suoi vari aspetti, la nota unificante del vertice dell’Aquila.
Il primo aspetto dell’incertezza economica riguarda naturalmente la congiuntura. Lo «sciame sismico» del grande terremoto produttivo - che nel periodo ottobre-marzo ha fatto aumentare di oltre quindici milioni il totale dei disoccupati dei paesi ricchi - è ben lontano dalla fine. I geologi avevano previsto che all’Aquila la terra avrebbe continuato a tremare per molti mesi; il Fondo Monetario e le altre organizzazioni internazionali avevano formulato previsioni molto più ottimistiche per l’economia che hanno dovuto essere duramente riviste al ribasso e vengono ora ritoccate. Ora sappiamo che l’economia continuerà a tremare per parecchio tempo e la ripresa sarà più lontana, meno rapida, più incerta. E che il mondo sarà diverso.
Le istituzioni internazionali e quelle americane non hanno saputo prevenire la crisi, limitarne la diffusione, prevederne gli effetti secondari. I recenti salvataggi pubblici hanno richiesto somme gigantesche e concentrato sulla Banca Centrale americana buona parte del rischio normalmente diffuso nel sistema finanziario degli Stati Uniti. Non è quindi concepibile che tutto continui come prima. Gli Stati Uniti oggi importano ogni giorno merci e servizi dal resto del mondo per due miliardi di dollari in più di quante ne esportano e il resto del mondo fa loro credito. Questa situazione va radicalmente corretta, anche se in maniera graduale, per evitare un nuovo e peggiore collasso che non sarebbe nell’interesse di nessuno.
La crisi non potrà quindi essere archiviata come un semplice sussulto ma segna la fine di un indiscusso primato monetario-finanziario americano che durava al termine della seconda guerra mondiale. Dovrà portare a una diversa organizzazione economico-monetaria mondiale e la natura di quest’organizzazione è il secondo aspetto dell’incertezza economica che caratterizza il G8 dell’Aquila, al di là dei comunicati. Gli Stati Uniti devono trovare un accordo con i loro creditori (principalmente cinesi, giapponesi, coreani e altri asiatici); e in particolare con la Cina. L’accordo dovrà garantire che chi detiene riserve in dollari non le smobiliti, ma anzi che, per scongiurare un ulteriore collasso, continui a investire nella valuta americana almeno una parte di eventuali nuove riserve, nel quadro di un’ordinata transizione in cui il potere degli attuali paesi ricchi deve attutirsi e stemperarsi. Anche se l’Aquila sarà solo una tappa di questo processo, il dollaro sarà affiancato da altre monete internazionali e potrebbe diventare esso stesso una parte - per il momento la più importante - di una nuova unità di conto internazionale nella quale potrebbero essere espressi i prezzi di molte materie prime, a cominciare dal petrolio.
Il governo italiano ha promesso di dare ai terremotati dell’Aquila un tetto sopra la testa nel giro di pochi mesi. Nessuno può fare, in maniera credibile, simili promesse per l’economia mondiale, e in particolare nessuno sa in quanto tempo chi ha perso il lavoro a seguito della crisi (e, purtroppo bisogna dirlo, chi lo perderà nei mesi prossimi) sarà in grado di recuperarlo. L’inizio della ripresa slitta sempre un po’ più in là e ora per gran parte dell’Europa si parla dell’estate prossima; per conseguenza, il tempo per recuperare i livelli di occupazione precedenti al settembre 2008 si misurano, nel migliore dei casi, in un paio d’anni.
Per conseguenza sarebbe un illuso chi ancora sognasse una ripresa indolore, che avesse inizio tra pochi giorni, quando i leader lasceranno L’Aquila tra sventolii di bandiere e discorsi d’addio. Con la fine del vertice avrà inizio un duro periodo di negoziazioni e di trattative, la cui prossima tappa, ben difficilmente definitiva, sarà la riunione annuale di settembre del Fondo Monetario Internazionale che si tiene a Washington. La ripresa avrà bisogno di un edificio finanziario internazionale ben diverso da quello di oggi, solcato dalle crepe e pericolante che dovrà essere, almeno in parte, abbattuto e ricostruito. Sarà un gran risultato del G8 dell’Aquila se su questo abbattimento e questa ricostruzione si raggiungerà, senza troppi litigi, un accordo di massima; e se anche l’economia, come il terreno dell’Aquila, smetterà di tremare, ci vorrà del tempo prima che le macerie del vecchio sistema economico mondiale vengano rimosse e le istituzioni finanziarie internazionali vengano ricostruite.