Arturo Carlo Quintavalle, Corriere della sera 8/7/2009, 8 luglio 2009
DI GIOTTO IL CROCIFISSO DI OGNISSANTO
Su uno sfondo bizantino, il dolore umano di Cristo e una Madonna con le rughe
La gran parte degli studiosi la attribuiva a «Parente di Giotto», oppure semplicemente a «Scuola», forse perché ricoperta da vernici mescolate alla polvere e ai fumi grassi delle candele. Ma adesso, a pulitura conclusa, realizzata in modo esemplare dall’Opificio delle pietre dure sotto la guida di Marco Ciatti, la croce si rivela un capolavoro di Giotto che si può datare al secondo decennio del ”300. Deve avere contribuito all’emarginazione dell’opera la sua collocazione nella sacrestia della chiesa di Ognissanti a Firenze, ma la sua sistemazione in origine era ben diversa. Lo provano le grandi dimensioni, 453 x 360 cm, alle quali si deve aggiungere circa un altro metro per la zona inferiore, ora perduta, che rappresentava probabilmente il monte Golgota col teschio di Adamo, come nella croce, di venti anni precedente, di Santa Maria Novella.
Dunque un dipinto imponente che era collocato in alto, al centro del tramezzo, al limite fra presbiterio e navata, connesso a una trave dove, alla destra, stava la Maestà degli Uffizi, alla sinistra la Dormitio Virginis di Berlino. Questo dunque, appena recuperato, è un dipinto fondamentale per le ricerche su Giotto. Proviamo a considerare l’insieme della croce dove, a tempera, su un tessuto di lino imbibito di gesso, Giotto stende le proprie figure, in alto l’Eterno, alla sinistra la Madonna, alla destra Giovanni, sotto, in origine, il Golgota. Diversamente da quella di Santa Maria Novella la croce ha una cornice scolpita e i terminali sono lobati, probabilmente su richiesta della committenza, ma, nonostante questo sapore arcaico, le novità sono molte. Se pensiamo alla circa contemporanea Crocifissione affrescata nella Basilica Inferiore di Assisi vediamo che in quella il corpo di Cristo, concepito come una scultura, pende da una sottile croce in tutta la sua plastica evidenza; ma nella croce di Ognissanti non era possibile utilizzare quella soluzione, il corpo doveva essere dipinto entro un più vasto spazio.
La prima scelta di Giotto è di proporre il contrasto fra i colori delle figure alle estremità della croce e il corpo del Cristo. Vediamolo da vicino, questo corpo. Il ventre è prominente attorno all’ombelico, la scansione dei muscoli del torace è ben leggibile sotto la pelle sottile, segnata da pennellate finissime fra il giallo e il grigio che il restauro ha saputo perfettamente conservare. Questo è un corpo vero, che forza sulle braccia e pesa sul prisma azzurro che lo sorregge sotto; Giotto ha voluto modificare la posizione del capo del Cristo spostando in basso l’aureola a rilievo e quindi il capo che cala, dolcissimo, sulla sua spalla destra. Vorrei porre l’accento su una immagine che restituisce il punto di vista originario di uno spettatore che stesse proprio al di sotto della croce: l’immagine è stata scattata dunque in asse scorciando gambe e corpo del Cristo, essa mostra la figura pallida, quasi staccata dalla croce dipinta di blu di lapislazzulo. Corpo come una scultura, corpo vero pallido di morte.
Dunque Giotto dialoga ancora una volta con la scultura, quella di Giovanni piuttosto che di Nicola Pisano, ma soprattutto con quella gotica di Francia attorno al 1230, e propone la violenza di un racconto concepito come vera messa in scena teatrale. Così la Madonna non è più la figura giovanile e composta della croce di Santa Maria Novella, ma è una maschera drammatica, con le rughe che scavano la fronte e le guance, una figura che mostra gli anni e il dolore. Lo stesso si dica per il San Giovanni dal lato opposto con la bocca scavata dall’ombra. In alto invece l’Eterno ha la distaccata espressione delle figure dell’ultimo Giotto, ma la sua mano è costruita per suggerire l’articolazione densa dello spazio, come del resto quelle del Cristo.
Adesso, dalla riflettografia ai raggi infrarossi, ci si attende la scoperta del disegno sottostante di Giotto che, come in altri casi, varia da pennellate spesse, volumetriche, con forti ombre di grigio, a sottili segni lineari che indicano i rapporti fra figure e spazio attorno. Meraviglia di questa croce la scelta tonale, da confrontare con gli affreschi delle Cappelle Bardi e Peruzzi in Santa Croce e, quindi col Giotto più avanzato, più sensibile alla scansione morbida dei volumi.
Se si confronta la croce con gli altri dipinti in origine sul tramezzo, e prima di tutto con la Madonna di Ognissanti ora agli Uffizi, che si data però a circa dieci anni prima, vediamo la distanza delle soluzioni adottate dall’artista: dentro lo spazio dell’architettura gotica alla francese la Madonna è un volume assoluto, ancora una volta concepita come una scultura; nella croce, invece, Giotto usa come sfondo un tessuto di sapore bizantino contro il quale segna la croce azzurra, simbolo del divino, croce delle proporzioni di quella dell’affresco di Assisi. Giotto dunque impagina su questa croce un dramma, da un lato e dall’altro l’acme del dolore degli umani, Maria e Giovanni, sull’asse centrale la salvezza espressa dall’Eterno mentre il corpo del Cristo, grigio e giallastro nel segno della morte, sanguinava in origine sul perduto teschio di Adamo celato nella roccia del Golgota, come ancora oggi si vede nella croce di Santa Maria Novella.