l. vin., ཿIl Sole-24 Ore 8/7/2009;, 8 luglio 2009
PIACCIONO AGLI INDONESIANI LE RIFORME DI YUDHOYONO
Per la prima volta da quando è un paese libero e democratico, l’Indonesia va alle urne senza un filo di suspense. Oggi nel paese musulmano più grande del mondo si vota per rieleggere il presidente, ma si sa già chi sarà il vincitore: Susilo Bambang Yudhoyono, l’attuale timoniere dell’arcipelago che si avvia a essere rieletto a larga maggioranza.
Yudhoyono ha già sbaragliato i suoi avversari nelle elezioni parlamentari di aprile. E ora si avvia a fare cappotto alle presidenziali: gli basterà conquistare il 50% delle preferenze, un obiettivo che, secondo i sondaggi, è ampiamente a portata di mano. Se non dovesse riuscirci (l’unica incognita è rappresentata da una bassa affluenza alle urne), la festa sarebbe solo rinviata al ballottaggio di settembre.
Cinquantanove anni, nato nell’isola di Giava, islamico moderato, grande comunicatore, Yudhoyono è un ex generale dell’esercito convertito alla politica in nome della ragion di stato. Come nella migliore tradizione indonesiana.
Fin dai tempi della liberazione dell’Indonesia dal giogo coloniale olandese, nel 1945,i militari hanno giocato un ruolo cruciale nella vita politica dell’arcipelago.
Ma, a differenza dei suoi vecchi colleghi convertiti alla politica che quando vestivano in grigioverde ne hanno combinate di tutti i colori, Yudhoyono sembra non aver lasciato scheletri nell’armadio.
I generali Prabowo e Wiranto, ai vertici dei due principali partiti di opposizione, sono stati più volte accusati per gli eccidi commessi a Timor Est nella seconda metà degli anni 90. Anche Yudhoyono era in servizio nell’ex colonia portoghese nei giorni bui che precedettero l’indipendenza dell’isola ( riportava gerarchicamente proprio a Wiranto). Ma non si è mai sporcato le mani. Non è questa, tuttavia, la ragione per cui Sby oggi è tanto popolare in Indonesia. L’ex militare dalla faccia pulita si avvia ad essere rieletto per ben altri motivi. Il primo è che, durante i suoi cinque anni alla guida del paese, è riuscito dove i suoi predecessori avevano clamorosamente fallito. Cioè, a combattere davvero la corruzione dilagante (una piaga che affligge da sempre la società indonesiana), a rimettere un po’ d’ordine nella pubblica amministrazione, a pacificare gli integralisti islamici di Aceh, e a non lasciarsi coinvolgere in alcuno scandalo nazionale.
Il secondo motivo è che l’economia indonesiana si è rimessa finalmente a marciare. Nel 2008 il tasso di crescita del prodotto interno lordo è stato del 6% e quest’anno, nonostante la crisi finanziaria internazionale e il crollo della domanda globa-le, dovrebbe attestarsi sopra il4 per cento. Può sembrare un paradosso: proprio mentre il mondo intero è alle prese con la recessione, l’Indonesia di Yudhoyono sembra finalmente sul punto di risollevarsi dalla lunga depressione iniziata con la crisi asiatica del 1997 che ha tenuto per oltre un decennio l’arcipelago in uno stato di continua e pericolosa instabilità. Così oggi, grazie alle politiche riformiste e pro-mercato promosse nell’ultimo lustro da Yudhoyono, gli investitori internazionali sono finalmente pronti a tornare a scommettere sulla principale economia del sud-est asiatico. Certo, sul tappeto restano diversi problemi da risolvere: la disoccupazione, la povertà, l’iniqua distribuzione del reddito, la carenza di infrastrutture. Ma per mettere a mano seriamente a questi nodi servirà tempo. Molto più tempo di un mandato presidenziale. Sby è pur sempre un generale onesto prestato alla politica. Non un mago.