Guido Olimpo, Corriere della sera 8/7/2009, 8 luglio 2009
RABIYA KADEER LA SIGNORA DELLA RIVOLTA
WASHINGTON – Per i suoi seguaci Rabiya Kadeer è un nuovo Dalai Lama, degno del Nobel. Per le autorità cinesi è l’ispiratrice della rivolta nello Xinjiang. Lei, più modestamente, si considera «la figlia degli uiguri». Sessantadue anni, sei dei quali passati nelle prigioni cinesi, nonna, madre di 11 figli, Rabiya è diventata un simbolo per la minoranza musulmana. E dagli Stati Uniti, dove vive in esilio, ribatte alla goffa propaganda di Pechino difendendo i diritti calpestati degli islamici cinesi. Una voce libera protagonista di una storia singolare.
Rabiya era una donna ricca. Molto ricca. Partita dal nulla – una piccola lavanderia – ha costruito insieme alla sua famiglia un impero economico importante, con negozi e affari dalla Cina al Kazakhstan. Un benessere che mostrava come anche gli uiguri potessero farcela, a patto di tenersi fuori dalla politica e di dimenticare le proprie origini. Ma il quadretto, gradito al regime, si dissolve nel 1996, quando il marito di Rabiya, l’ex prigioniero politico Sidik Rouzi, si rifugia negli Stati Uniti. La polizia cinese si fa più aggressiva, il clan è tenuto d’occhio in modo severo. E tre anni dopo è la stessa Rabiya a finire in prigione: la intercettano mentre sta per incontrare una delegazione americana. Le autorità sostengono che lei rappresenta «una minaccia alla sicurezza nazionale» e la chiudono in una cella mentre pressioni robuste sono esercitate sul resto della famiglia.
La sua vicenda diventa un caso internazionale e, nel 2005, alla vigilia di una visita dell’allora segretario di Stato Condoleezza Rice, viene rilasciata e poi espulsa. Rabiya raggiunge il marito negli Stati Uniti unendosi alla piccola comunità di uiguri che tiene viva l’attenzione sul dramma della minoranza. Carismatica, piena di iniziative, la Kadeer, oggi a capo del Congresso mondiale uiguro, si trasforma in un’ambasciatrice del suo popolo incontrando stampa e personalità politiche, compreso George Bush. Il suo programma non prevede rivolte ma una protesta non violenta.
I cinesi reagiscono con i loro sistemi. Tre figli di Rabiya sono aggrediti, percossi e messi agli arresti domiciliari. Prigionieri politici in favore dei quali si muove il Congresso Usa con una risoluzione che ne chiede il rilascio. E l’irritazione di Pechino cresce quando il Pentagono decide di liberare alcuni detenuti uiguri di Guantanamo. Inizialmente si pensa di sistemarli in Virginia, dove vivono molti membri dell’etnia, poi per l’ostracismo dei politici locali sono divisi tra Palau e le Bermuda. Agli occhi dei cinesi sono prove sufficienti a dimostrare che il «grande complotto» è stato ordito all’estero. Il ritornello gradito dai dittatori di tutte le latitudini.