Lucio Caracciolo, L’Espresso, 9 luglio 2009, 9 luglio 2009
LUCIO CARACCIOLO PER L’ESPRESSO 9 LUGLIO 2009
Quel vertice è una fiction Dal summit del G8 tra le potenze del mondo non usciranno decisioni vincolanti. Solo dichiarazioni di principio senza alcuna concretezza. Perché le questioni cruciali vengono affrontate altrove
Il destino non è generoso con l’Italia. Ci ha infatti assegnato, per la quinta volta nella storia, la presidenza del G8 quando questa formula di incontro fra i "Grandi" del mondo ha finito di disvelare la sua vacuità. Ossia l’incapacità di incidere concretamente sugli affari del mondo. Come dimostra il fatto che nell’affrontare la più devastante crisi economica e finanziaria del dopoguerra, ciascuno degli otto abbia agito o non agito per proprio conto. Spesso seguendo criteri opposti. In ogni caso, nessuno ha notato la mano del G8 nella gestione di questa emergenza. E nessuno, temiamo, la vedrà nemmeno dopo il vertice dell’Aquila.
Si tratta infatti di un’eterogenea e autoreferenziale compagnia, che include Stati di potenza - economica, geopolitica e culturale - assai variabile, oltre che di diverso orientamento istituzionale (dalla non democrazia russa alle più radicate liberaldemocrazie occidentali). Per avere un’idea della peculiarità del G8, conviene anche ricordare che i suoi membri (Italia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Russia, Stati Uniti, Canada e Giappone) rappresentano appena più del 50 per cento del prodotto interno lordo mondiale, ma solo il 13 per cento della popolazione. E certo il peso degli Stati Uniti o della Russia sugli affari globali non è paragonabile a quello del Canada o dell’Italia. Ma non vigendo criteri specifici che consentano di entrare nel club, salvo la cooptazione da parte dei soci, niente può ridurne l’impronta eteroclita né aumentarne la legittimazione.
Dal G8 non possono quindi scaturire decisioni vincolanti per nessuno. Al massimo, dichiarazioni di principio, indicazioni generali. Dalle regole dell’economia mondiale all’Africa, dall’ambiente alla sicurezza alimentare, i Grandi non mancheranno di produrre comunicati e documenti sufficientemente generici da non impegnare troppo nessuno, e soprattutto da non comportare verifiche troppo stringenti del loro grado di concretezza, quindi di attuazione. Questa è la regola che tutti gli sherpa addetti alla definizione dei documenti, all’opera da mesi sotto la guida italiana, sanno di dover rispettare.
Di fronte alla pressione delle economie emergenti e alle ambizioni di potenza di nuovi attori regionali, il G8 si avvia peraltro ad allargarsi. Sia in maniera informale - già all’Aquila, nei vari round conteremo 38 fra Stati e organizzazioni internazionali - sia poi in maniera strutturata, se mai al club saranno ammessi i paesi del G5 (Brasile, India, Messico, Cina e Sudafrica) e forse anche l’Egitto, sponsorizzato dall’Italia. Di più, il G8 affronta già la concorrenza del G20, quest’anno a guida britannica. E’ probabile che la sede per definire i principi del nuovo corpo di regole economiche destinate a prevenire una crisi come quella attuale, i cosiddetti legal standards, sarà quindi il vertice G20 di Pittsburgh, a fine settembre. Presieduto da Gordon Brown, sempre che non debba sgombrare prima Downing Street. All’Aquila se ne parlerà di certo, ma senza concludere nulla, come hanno constatato Obama e Berlusconi nel loro recente incontro alla Casa Bianca.
Al fondo, il G8 testimonia della difficoltà di avvicinare la cosiddetta governance globale, termine volutamente generico che starebbe a indicaree la gestione concordata degli affari del mondo. Ora, essendo questa ipotesi impossibile nel contesto geopolitico attuale - come lungo tutta la storia dell’umanità - dovremo probabilmente accontentarci, nel migliore dei casi, di affermazioni di buona volontà. O di regole che comunque non potranno essere applicate, in assenza di autorità abilitate a farlo.
Il fossato fra problemi mondiali e istituzioni abilitate a risolverlo è stridente. Nel campe economico, e non solo, si profila l’ombra del G2: un condominio sino-americano, che rifletta la simbiosi fra Cina, produttrice di prima e ultima istanza, e America, superconsumatrice. Il fatto che Pechino sia il massimo creditore degli Stati Uniti, e allo stesso tempo abbia vitale bisogno del mercato americano per collocarvi le sue merci, ha creato un duopolio di fatto che forse un giorno troverà sanzione geopolitica.
Il commercio sino-americano supera i 300 miliardi di dollari, rispetto ai 100 di dieci anni fa. Nella pancia dell’impero universale cova un bipolarismo per ora economico, domani forse a tutto tondo. Questo solo fenomeno basta a spiegare perché un organismo senza Cina sia oggi privo di possibilità di incidere sui fondamenti del sistema economico mondiale.
Non è quindi casuale che buona parte dell’agenda venga dedicata a temi che non toccano direttamente gli interessi centrali dei partecipanti, come ad esempio il modo migliore di contribuire allo sviluppo dei paesi più poveri, a cominciare da quelli africani. Temi cari all’opinione pubblica occidentale e a diverse lobby e organizzazioni non governative che ne fanno il cuore della loro missione. La recessione ha peggiorato la drammatica crisi dei paesi sottosviluppati (o "in via di sviluppo" secondo il cinico gergo diplomatico). Nel 2007 il loro debito verso l’Occidente era già salito a 3,3 miliardi, contro i 2,2 del 2000, a conferma che l’impegno dei vari vertici G8 ha finora avuto scarso effetto. La novità è semmai il crescente indebitamento di quei paesi verso la Cina. Ciò aumenta, evidentemente, la capacità di ricatto e quindi di influenza di Pechino su scala globale.
Il vertice dell’Aquila, infine4, cade in una fase di grave debolezza internazionale dell’Italia. Non solo per la pessima stampa di cui gode Berlusconi in Occidente e altrovve, ma per l’oggettiva perdita di peso del nostro paese in Europa e nel mondo. Certo, alcune peculiarità della nostra politica estera, come la speciale vicinanza alla Russia di Putin e Medvedev, sui dossier energetici come su quelli geostrategici, non hanno contribuito ad accrescere la stima di Obama nei nostri confronti. Il quale, perlatro, è rimasto talmente deluso dal suo recente giro europeo da non riporre più troppa fiducia nell’aiuto che pensava di ottenere dagli alleati d’Oltre Atlantico. Oggi più che mai l’America si senta lontana dai tradizionali amici e alleati europei, ciò che getta un pesante ombra sul futuro stesso della Nato.
Come ogni G8, anche quello dell’Aquila, sarà comunque segnato dall’attualità. Che oggi si chiama Iran. Negli ultimi giorni si sono intrecciate telefonate e scambi di opinione informali su come reagire di fronte alla frode elettorale, e al susseguente ciclo di proteste e repressioni del potere iraniano. Gli americani stanno irrigidendo la loro posizione, ma vorrebbero comunque evitare lo scontro frontale con Teheran, di cui hanno gran bisogno in Iraq come in Afghanistan. E la Russia si metterà di traverso rispetto a chi, soprattutto fra gli europei (italiani inclusi), cercherà di proporre una linea più dura verso Ahmadinejad e associati. Comprese sanzioni severe, per tentare di riportare Teheran al tavolo del negoziato sul suo programma nucleare.
Alla bomba atomica iraniana sarà quindi dedicata una parte non secondaria delle discussioni fra gli otto. Fino a ieri, sembrava che americani ed europei si rassegnassero a un Iran dotato di capacità atomica, ma non della bomba. Una soluzione "giapponese", che lascerebbe la possibilità di dotarsi di un arsenale nucleare vero e proprio a una scelta politica che l’establishment di Teheran potrebbe compiere in qualsiasi momento. Ma dopo le sommosse e le sanguinose repressioni di questi giorni, anche tale opzione viene ripensata.
Soprattutto, non è ben chiaro quale sia oggi la gerarchia dei poteri. E fino a che punto non solo Ahamadinejad, ma lo stesso Khamenei, siano interlocutori capaci di dar seguito a eventuali accordi, o se la loro posizione sia troppo indebolita. Mentre tutti, Obama in testa, sanno bene che un giorno non lontanissimo Israele potrebbe rompere gli indugi e scatenare un attacco preventivo destinato a ritardare di qualche anno lo sviluppo della bomba atomica iraniana. Ma con rischi per la regione e il pianeta che è meglio non immaginare.
Comunque, anche nel caso della strategia da adottare verso l’Iran, non è al G8 che potranno essere prese decisioni operative. Sarà bene farsene una ragione.