Michele Di Branco, Il Messaggero 07/07/2009, 7 luglio 2009
«Più che una commissione a me sembra un pizzo». L’espressione è cruda. Ma è difficile dare torto a Mario
«Più che una commissione a me sembra un pizzo». L’espressione è cruda. Ma è difficile dare torto a Mario. E’ appena uscito da un’agenzia di viaggi di Roma, zona Appia, ed ha in mano un biglietto ferroviario andata e ritorno, direzione Trento. Andrà a trovare la figlia che lavora lì. Il biglietto, prima classe, è costato 117 euro, l’amara sorpresa sono quei 10 euro in più di ”diritti di agenzia” che l’esercizio ha voluto «senza neppure darmi una fattura». Dieci euro: l’8,5 per cento rispetto al prezzo d’acquisto. A Mario potrebbe essere andata di lusso. L’Adoc, l’associazione dei consumatori che tiene d’occhio il fenomeno, dice che ci sono agenzie che si spingono fino al 20 per cento. Non sono moltissime. Ma lo fanno, soprattutto al sud. Ed in particolare nelle piccole città o nelle periferie urbane. Dove, evidentemente, possono agire con pochi scrupoli e senza molta concorrenza. I nostri lettori scrivono a ”Dillo al Messaggero Estate”, vogliono raccontare, dirci del loro sconcerto e della loro rabbia. Certo, entrando nelle agenzie di viaggi, si legge e si vede di tutto. Due, tre, quattro euro di commissione a salire con il prezzo del biglietto. E c’è persino chi, preannunciandolo con un cortese cartello vergato a mano, chiede un euro per la sola ”informazione sui viaggi dei treni”. Sgradevoli effetti collaterali di una liberalizzazione tanto provvidenziale quanto poco controllata, probabilmente. Il problema non viene da lontano, è recente. Quattro mesi fa Trenitalia e le principali associazioni italiane di Agenzie di viaggio (Fiavet e Assotravel, Assoviaggi non ha accettato) hanno firmato il rinnovo dell’accordo per i diritti di vendita dei biglietti ferroviari. Di nuovo e di rilevante c’è che le Agenzie di viaggio hanno visto ridursi le loro provvigioni. Se prima prendevano una media del 5,5 per cento sul prezzo del biglietto, oggi partono da una base del 2 per cento e per arrivare al 5 (il massimo possibile) devono riuscire a vendere biglietti Ticketless di prima classe su Alta velocità. Categorie preziose per le quali la maggior parte dei clienti ormai sceglie altri percorsi d’acquisto (on line, che tra l’altro fa risparmiare il 5 per cento). Insomma, per dirla con le parole di Cinzia Renzi, presidente di Fiavet, «Le Agenzie non fanno ricavi con gli accordi presi con Trenitalia. Sono stati elevati anche i costi di fidejussione e si comincia a guadagnare solo con provvigioni oltre il 4 per cento. Rarissime». E allora ci si arrangia con la giungla delle commissioni. Giungla nel senso delle notevoli differenze. Perché carte alla mano è tutto regolare. Nelle ”condizioni generali per la vendita dei biglietti ferroviari”, all’articolo 4, c’è scritto chiaramente che è diritto dell’Agenzia ”richiedere alla clientela uno specifico corrispettivo in forma di diritto”. Una facoltà che prima non c’era. Nessun limite sulle richieste, solo l’obbligo di informare preventivamente il cliente (cosa che non sempre avviene). Trenitalia fa osservare che le condizioni dell’accordo sono state accettate integralmente dalle Agenzie, invita a fare biglietti ”on-line” o coi telefonini e respinge l’espressione ”taglio delle provvigioni”. Preferisce la formula ”rimodulazione e resettatura”. Una nuova griglia disegnata per premiare nuovi e moderni meccanismi di vendita (Ticketless) e biglietti Eurostar e treno notte. Hanno tutti ragione. Compreso il signor Mario che ha pagato una commissione spropositata.