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 2009  luglio 07 Martedì calendario

Ma il disarmo di Mosca è merito della ruggine- Il temibile arsenale consumato dal tempo e dall’incuria Pochi dubitavano che alla fine, in qualche modo, Obama e Medvedev avrebbero risolto il problema, ma in molti ieri, quando i due presidenti hanno annunciato l’intesa che tra cinque mesi porterà alla nascita del nuovo accordo sul disarmo russo-americano, hanno tirato un sospiro di sollievo

Ma il disarmo di Mosca è merito della ruggine- Il temibile arsenale consumato dal tempo e dall’incuria Pochi dubitavano che alla fine, in qualche modo, Obama e Medvedev avrebbero risolto il problema, ma in molti ieri, quando i due presidenti hanno annunciato l’intesa che tra cinque mesi porterà alla nascita del nuovo accordo sul disarmo russo-americano, hanno tirato un sospiro di sollievo. A causa della nuova guerra fredda tra Mosca e Washington - che da agosto scorso, dopo la guerra in Georgia, hanno praticamente interrotto il dialogo strategico - la diplomazia è arrivata al nuovo accordo con la lampadina della riserva già accesa. Con la scadenza del vecchio Start firmato ancora da Bush padre e Gorbaciov nel 1991, infatti, dal 6 dicembre 2009 il mondo rischiava di tornare indietro a prima della perestroika, con il crollo della complessa e fragile cornice che, anno dopo anno, ha imbrigliato le potenze nucleari ex nemiche. Start, Salt, Sort, Inf, una sfilza di sigle e numeri ciascuna delle quali ha segnato una tappa nell’uscita della guerra fredda, fino a diventare quasi una routine. Il negoziato per il disarmo strategico è iniziato negli anni ”60, dopo il grande spavento della crisi di Cuba, e ai primi vertici tra Breznev e i suoi colleghi americani il solo fatto che si parlassero e si stringessero la mano senza insultarsi o lanciarsi scarpe sembrava già un progresso. La firma del trattato sul bando dei missili a medio e corto raggio tra Reagan e Gorbaciov, l’8 dicembre 1987, è stata trasmessa in diretta in tutto il mondo: era la fine degli euromissili e lo smantellamento dell’incubo della guerra nucleare. Con Eltsin il negoziato sul disarmo è diventato quasi un pretesto per darsi pacche sulle spalle con l’«amico Bill», al punto che gli americani a un certo punto ignorarono la richiesta di Putin per un nuovo documento ufficiale: «Non stipuliamo accordi vincolanti con gli amici», fu il commento dei consiglieri di Bush jr. Errore, e il nuovo padrone del Cremlino glielo fece pagare. Come spiega l’analista militare moscovita Alexandr Golz, per la leadership russa la firma solenne di un accordo - con tutti gli accessori, bandiere, delegazioni, ratifiche - è «il riconoscimento dello status di grande potenza», la dimostrazione che la Russia fa ancora paura. Putin non ha mai nascosto che per il suo Paese l’arsenale nucleare resta l’unica garanzia di venire considerato in consessi internazionali, dove altrimenti né per peso economico, né per influenza politica potrebbe più entrare. Per il Cremlino degli ultimi anni, ossessionato dai riconoscimenti del suo orgoglio nazionale, già un negoziato sul negoziato era un obiettivo politico da conseguire. E secondo molti analisti russi, la spavalderia con la quale Putin ha demolito - o minacciato - tutta l’architettura della sicurezza costruita dai suoi predecessori, sarebbe solo un bizzarro e pressante invito a tornare a trattare. Obama sembra aver capito questa esigenza, e al Cremlino si è tornati con un sospiro di sollievo a tavolate di esperti. Senza forse rendersi conto fino in fondo che un dialogo concentrato sul disarmo ha contraddistinto proprio la guerra fredda: era l’unico argomento di conversazione tra due potenze ostili che minacciavano di distruggersi a vicenda. Preparata in 11 giorni di febbrile trattativa, l’intesa di ieri non ricorda certo lo Start, che ha richiesto 9 anni di lavoro di decine di diplomatici e 900 pagine di clausole e supplementi. Né i volumi sono più quelli di una volta, non più migliaia di missili, ma appena qualche decina in meno (Obama e Medvedev hanno stabilito un limite massimo di testate, 1675, di appena 25 unità inferiore al minimo attuale, 1700). Ma nel frattempo a disarmare l’ex Urss ci hanno pensato il tempo, la ruggine e l’economia: nonostante Putin abbia promosso i nuovi missili strategici Topol, la loro produzione col contagocce non riesce a rimpiazzare i vecchi vettori che vanno in pensione. Secondo il politologo Vladimir Evseev, «per Mosca era vitale ridurre il numero dei vettori ufficialmente consentiti da 1600 ad almeno 800», presentando così una riduzione «naturale» degli arsenali come gesto di buona volontà.