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 2009  luglio 07 Martedì calendario

MOSCA E IL PREZZO DELLA PARIT


Il lungo sogno tra est e ovest

Quando si chiede ai politologi moscoviti meno vicini al regime, più seri, più aperti all´Occidente, che cosa chiedano Putin e i suoi, Medvedev compreso, agli Stati Uniti, la risposta è univoca: "Status, status, status". Vale a dire il riconoscimento da parte della classe politica americana d´una parità di condizione, di ruolo mondiale, e dunque di rispetto, tra Washington e Mosca.

Il solo modo per disinnescare i risentimenti del regime installatosi in Russia nel 2000, nazionalista sin nelle midolla, ancora sofferente per la sconfitta nella Guerra fredda, e trattato da interlocutore marginale se non subalterno – questo bisogna riconoscerlo – negli otto anni di George W. Bush.
La firma del trattato preliminare sulla riduzione degli armamenti nucleari strategici, apposta ieri dai presidenti Obama e Medvedev, è dunque per i russi il primo passo verso il recupero del vecchio status di parità con gli Stati Uniti, che era durato per quarant´anni al tempo dell´Urss. Allora, quando si riunivano con Anatolij Gromyko e poi con Edvard Shevarnadze, i Vance, gli Haig, i Baker per fare, come si diceva, la "conta dei fagioli" (tanti missili e testate voi, tante testate e missili noi), i sovietici potevano rimuovere i loro complessi d´inferiorità, gli incubi dell´impressionante sottosviluppo economico dell´Urss, e sentirsi allo stesso livello della superpotenza americana. Sentimento svanito negli ultimi diciott´anni, come sappiamo, con il crollo della potenza sovietica e del comunismo, con gli anni del caos eltsiniano, e non certo ritrovato (con un´economia tenuta in piedi quasi soltanto dalla risorse energetiche, e forze armate in profonda disorganizzazione) dal regime di Putin.
Nessun dubbio, quindi, che gli accordi varati ieri a Mosca (cui servono ancora mesi di complesse trattative per divenire operativi) servano a svelenire i rapporti tra Mosca e Washington. Ma sarebbe da sventati, inutile dirlo, pensare che le diffidenze, le discordanze, il conflitto tra gli interessi nazionali dei due paesi si siano risolti in un fiat, con due firme poste al Cremlino su un documento che si sapeva da settimane già pronto, e che comunque riguarda solo un capitolo del contenzioso Usa-Russia. Tutto il resto dell´ostilità (in specie tra i due "establishment" militari), dei dissapori, delle pretese reciproche, dei reciproci tentativi d´acquisire vantaggi l´uno rispetto all´altro, consolidando il proprio ruolo sulla scena internazionale, tutto questo resta infatti in piedi. Lo "scudo antimissilistico" in Europa centrorientale, la non collaborazione russa nel tentativo degli occidentali di fermare il programma nucleare iraniano, la Georgia, la foga ossessiva con cui Putin cerca di costruire un multipolarismo ad uso russo, destinato cioè a contenere, sminuire la potenza americana.
Bisognerà poi vedere nei prossimi mesi l´effetto della scelta sin troppo vistosa fatta tra Medvedev e Putin. L´uno eletto a interlocutore principale, l´uomo del futuro con cui il dialogo procederà per il meglio, e l´altro invece uomo del passato. Con questa investitura, Obama sembra voler distinguere gli interessi della società russa (con la sua aspirazione a una maggiore apertura verso l´Occidente e al "rule of law") dagli interessi del regime di Putin e dei suoi accoliti del Kgb, intenzionati a legittimare il proprio potere con la retorica anti-americana.
Il presidente degli Stati Uniti ha dovuto fare per ora, certo, concessioni al regime (il trattato sugli armamenti strategici, che soddisfa Putin e i militari russi), ma pare ripromettersi un maggiore impegno verso la "società", o per meglio dire quell´ala del regime meno ideologica, più realistica (cui potrebbe appartenere anche Medvedev), che sa bene come la Russia non possa modernizzarsi senza l´apporto dell´Occidente. In questa scelta è stato ben consigliato? A Mosca ne dubitano persino alcuni oppositori del regime, che temono da questa interferenza americana una più forte saldatura della diarchia Putin-Medvedev.