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 2009  luglio 07 Martedì calendario

IL PETROLIO LIBICO E L’ITALIA DALLE PAROLE AI FATTI


Sono uno studente universitario di economia, e molto interessato al rapporto storico Eni-Libia. Può aiutarmi a inquadrare il problema?
Andrea Rossato
andreaross87@hotmail.it

Caro Rossato,
Sulla questione del petrolio libico negli anni che prece­dettero e seguirono la Se­conda guerra mondiale esiste an­zitutto il libro molto interessan­te di Giuseppe Buccianti («Li­bia: petrolio e indipendenza») pubblicato qualche anno fa dal­l’editore Giuffré permette di comprendere meglio gli svilup­pi di una vicenda che comincia con gli accordi conclusi dall’Eni nell’ultima fase della monarchia di re Idris per lo sfruttamento di due importanti giacimenti. Il colpo di Stato militare del 1969, l’avvento al potere di Muammar Gheddafi e la cacciata degli italiani dal Paese nei mesi seguenti sembrarono segnare la fine degli ambiziosi progetti con­cepiti dall’Italia per la riconqui­sta economica della Libia. Ma nel giro di un anno la situazione cominciò a migliorare. In un li­bro recente («L’Italia e l’ascesa di Gheddafi», Baldini Castoldi Dalai ed.) Arturo Varvelli ricorda che i tecnici e i dirigenti italiani si erano ridotti a qualche decina nel 1970, ma divennero 1530 nel 1972 e 5200 nel 1974. Dietro le affermazioni demagogiche della dirigenza libica vi era la convin­zione che l’Italia fosse, per ragio­ni storiche e geografiche, il part­ner più utile e naturale.

Molti contatti furono ristabili­ti spontaneamente, alla spiccio­lata. Ma il problema dell’Eni era più complicato. Il nuovo regime non intendeva riconoscere gli accordi stipulati dal governo del re con le società petrolifere stra­niere e sembrava deciso a riven­dicare il controllo dell’intero set­tore. Uno dei temi in discussio­ne era la percentuale della pre­senza libica nella impresa con­giunta che si sarebbe costituita fra l’Eni e la Lnoc (Libyan Natio­nal Oil Corporation). Il 51%, co­me richiesto dai negoziatori di Tripoli? O il 50%, come desidera­to dall’Eni? E ancora: come sa­rebbero state ripartite le spese che l’Eni aveva già sostenuto per lo sfruttamento dei due gia­cimenti? A quale prezzo l’Eni avrebbe potuto comprare la quo­ta di petrolio spettante alla Li­bia? Al prezzo del mercato, co­me voleva l’Eni, o a un prezzo maggiorato come chiedevano i libici?

La questione si complicò ul­teriormente quando i libici fece­ro capire che l’affare sarebbe an­dato in porto soltanto se l’Italia avesse accettato di fornire armi che erano in buona parte fabbri­cate da noi su licenza america­na. Cominciò così una partita a tre in cui l’Italia dovette nego­ziare su due fronti: con i libici per convincerli a moderare le lo­ro richieste, con gli americani per indurli ad autorizzare l’esportazione di materiale belli­co. Secondo Varvelli la persona che ebbe in questa fase un ruo­lo decisivo fu Giulio Andreotti, allora presidente del Consiglio. Fu Andreotti che, scavalcando il ministro degli Esteri (Aldo Moro), fece pressioni su Washington. I suoi argomenti furono soprattutto due. In pri­mo luogo sostenne che le armi, se l’Italia non fosse stata auto­rizzata a venderle, sarebbero giunte in Libia dal blocco sovie­tico e avrebbero rafforzato i rap­porti di Gheddafi con l’Urss. In secondo luogo lasciò intendere che l’accordo sul petrolio si sa­rebbe fatto a condizioni sfavore­voli per l’Eni e avrebbe rappre­sentato un brutto precedente per le imprese straniere che era­no in lista d’attesa. L’azione eb­be successo, l’accordo venne fir­mato il 30 settembre 1972 e det­te soddisfazione a quasi tutte le richieste dell’Eni. Fu probabil­mente il migliore accordo stipu­lato in quegli anni da un’azien­da straniera con il regime di Gheddafi.