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 2009  luglio 06 Lunedì calendario

IN ISRAELE LE TURBINE "MADE IN EMILIA"


Con il boom delle energie rinnovabili cresce la domanda di tecnologia nel campo della microgenerazione, finalizzata ad ottenere il massimo dell’energia sia termica che elettrica anche a bassi regimi e da un singolo impianto magari isolato. Fra le aziende italiane che si stanno facendo notare ce n’è una di Cento (Ferrara), la Turbec, nata quattro anni fa, che sta costruendo un impianto di tecnologia avanzata nel Samar Kibbutz in Israele: una microturbina da 100 kW, collocata sulla sommità di una torre alta 30 metri, disegnata dallo studio di architetti Haim Dotan.
Ecco come funziona la turbina. I raggi solari si concentrano sulla torre attraverso le superfici riflettenti degli specchi di un campo eliostatico, determinando un unico ’ricevitore solare’ che riscalda l’aria compressa che muove la turbina. La microturbina di Turbec, che, attraverso la controllante Turboenergy Srl, appartiene per il 75% a industriali italiani e per il 25% al gruppo Ansaldo Energia, è stata installata in collaborazione con la società Aora nel contesto di un Power Conversion Unit, che converte l’energia solare in 100kWe di energia elettrica e in 170kW di energia termica. La stessa applicazione progettata dalla Turbec è in via di realizzazione ad Almeria, in Spagna. «Anche in un periodo di crisi ”spiega il presidente e ad di Turbec, Carlo Mauri la nostra azienda sta profondendo un grandissimo impegno nel campo della ricerca e dello sviluppo delle applicazioni».
L’impianto in Israele è stato realizzato sviluppando una tecnologia basata sull’alimentazione di una turbina a gas con energia solare. I vantaggi di questa tecnologia sono la modularità, che consente l’implementazione dell’impianto nel tempo, la flessibilità, poichè la turbina è predisposta per l’utilizzo anche di qualsiasi altro combustibile fossile o biocombustibile, e la cogenerazione, visto che la microturbina fornisce sia energia elettrica (100 kW) sia energia termica (170kW).
« un mix che aumenta l’offerta di energia a utenti del comparto industriale che possono beneficiare di entrambe, senza alcun impiego d’acqua e con la possibilità di funzionare con biocombustibili durante il periodo notturno», aggiunge l’amministratore delegato della Turbec. L’azienda italiana, che impiega 25 addetti, ha un centro R&S a Malmoe, in Svezia. «La storia di questa tecnologia è figlia della ricerca avviata nel gruppo Volvo dove agli inizi degli anni ”80 è stata sviluppata una nuova generazione di microturbine a gas per differenti campi di applicazione nel campo dell’automotive (autovetture, mezzi commerciali e per il trasporto pubblico). Noi abbiamo acquisito il centro dall’azienda automobilistica – spiega Mauri – mantenendo lo sviluppo del prodotto e ampliandone le applicazioni in svariati settori, particolarmente quello delle energie rinnovabili». Con circa 400 microturbine vendute sul mercato prevalentemente europeo e oltre 3 milioni di ore lavorative alle spalle, l’azienda italiana ha un fatturato che ammonta a 8,5 milioni di euro e ha investito, negli ultimi due anni, circa il 20 % del proprio giro d’affari nella ricerca e nello sviluppo del prodotto.
Tra le innovazioni prodotte da Turbec anche la realizzazione di una decina di applicazioni prototipali di caldaie a biomassa, abbinate a microturbine ad aria calda. «Crediamo fermamente nell’utilizzo degli scarti e conclude Mauri nei recuperi energetici ovunque sia possibile. Il nostro focus è riconvertire lo scarto in energia con impatto ambientale ridotto al minimo». La società ha applicato questo filone innovativo anche al comparto industriale dei motori con Apicom, un azienda specializzata nella progettazione e produzione di banchi di prova per motori termici ed elettrici e per test completi su auto e motoveicoli. Apicom ha lanciato un prodotto innovativo che rivoluziona le prospettive sul piano energetico e su quello della riduzione delle emissioni di CO2 in atmosfera. Il punto di forza è, infatti, la capacità del banco di prova di far risparmiare energia: se i prodotti tradizionali dissipano calore, quelli di ultima generazione, sono di tipo rigenerativo. In sostanza catturano l’energia che fuoriesce dal motore e la trasformano in energia elettrica che può essere immessa in rete.