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 2009  luglio 06 Lunedì calendario

L’ALTRO MANZONI, IL RIVOLUZIONARIO


Poetica e idee prima della conversione: una stagione (letteraria e umana) da riscrivere

Nella biografia di Manzoni, così povera di vicende e di avveni­menti esterni, un solo fatto ac­quista veramente rilievo: la con­versione, che sembra dividere quell’esisten­za in due parti nettamente distinte e quasi contrapposte. Conversione religiosa (da una sorta di deismo volteriano all’ortodos­sia cattolica), cui corrisponde un’analoga conversione dell’intelligenza e del gusto (dal classicismo al romanticismo). La pri­ma è stata largamente e minutamente esplorata; la seconda, che si fonde stretta­mente con l’altra e in un certo senso fa tut­t’uno con essa, non è stata invece studiata nelle sue fasi e nel suo sviluppo con quel­l’attenzione e quella cura che meriterebbe. Ad ogni modo l’atteggiamento dei critici di fronte a questo problema – creato dal taglio netto che la conversione incide nel ritmo della vita e dell’approfondimento della personalità manzoniana – si è fino ad oggi manifestato in due modi diversi ed entrambi forse un po’ frettolosi.

Il primo consiste nello svalutare il perio­do anteriore alla conversione, e considerar­lo pressoché come se non fosse stato, e fa­re cominciare insomma solo dal 1810 la ve­ra storia del Manzoni; l’altro nel ricercare in quel periodo gli antecedenti, gli adden­tellati allo sviluppo posteriore dell’uomo e del poeta, caricandone i documenti umani e letterari di un significato morale e religio­so, di una gravità e serietà interiore, di un presentimento cristiano, per cui arbitraria­mente son portati a servire e preconizzare il suo cattolicesimo futuro.

Ora, se il primo di questi atteggiamenti elimina troppo alla svelta una fase abba­stanza lunga e importante della vicenda dello scrittore; il secondo la mutila e la de­forma per il pregiudizio di una visione coe­rente e lineare, per quell’esclusivo amore dell’unità, che è così caratteristico di tutta la critica dei nostri giorni e per cui così spesso si tende a mettere in ombra, a tra­scurare, a escludere gli aspetti secondari, marginali, divergenti, la complessità in­somma e la dialettica insita nell’operosità di ogni singolo poeta. In realtà la persona morale, intellettuale e poetica del Manzoni nel periodo anterio­re alla conversione, a guardarla bene, si presenta davvero in una posizione non di avviamento e di preparazione ai modi del Manzoni cattolico e romantico, bensì di an­titesi; la conversione insomma si avverte, non come il vertice e il punto d’arrivo di un processo iniziato di lunga mano, bensì co­me una brusca e improvvisa rottura, una svolta radicale della spiritualità e del gu­sto.

E perciò gli scritti del Manzoni prima del 1810 devono essere studiati a sé, esami­nati nella loro specifica struttura mentale e artistica, senza la volontà preconcetta di ri­conoscervi i primi spunti e precorrimenti dell’attività posteriore. D’altra parte è vero che questi scritti si presentano come pres­soché privi di un valore autonomo di poe­sia, come puri documenti, cosicché è giu­sto dire che in un certo senso la vera storia della poesia di Manzoni comincia solo con gli Inni sacri.

Ma non è meno vero che proprio in quei primi anni, attraverso l’adesione del giova­ne lombardo allo spirito rivoluzionario del suo tempo nelle sue forme più estreme, si instaurano e si precisano certi ideali e certi sentimenti, che anche il Manzoni futuro potrà temperare, ma non ripudiare, si deli­nea insomma un certo fondo rivoluziona­rio e veramente nuovo e progressivo dello spirito manzoniano, che durerà intatto an­che nella fase dell’assestamento e del rag­giunto equilibrio e costituirà in qualche modo il lievito vitale, l’impulso attivo della moralità e della poesia stessa del Manzoni. Di questo fondo umano, ribelle e polemi­co, gli scritti anteriori alla conversione ci offrono la manifestazione più aperta e deci­sa, anche se grezza, e in questo senso essi hanno il valore di un documento di prim’ordine. Non è dunque il caso di cer­carvi gli antecedenti dell’ortodossia e del moderatismo, in cui più tardi si accomode­rà e sistemerà la mente del poeta lombar­do, ma se mai di sottolinearne invece (co­me non si è mai fatto sinora con piena con­sapevolezza e sincerità) gli aspetti antiteti­ci di ribellione nel campo religioso e politi­co.

Non si tratta cioè di inseguire in essi l’ombra di un Manzoni cattolico, che vi è del tutto assente, sì invece di scoprirvi la sostanza di un Manzoni rivoluzionario, che vi domina esclusiva, e che conferisce an­che all’opera successiva dello scrittore cer­te sue singolari caratteristiche, le sue pun­te, il suo vigore, la sua vena segreta di criti­ca, di satira e d’ironia, vietandogli in ogni momento di confondersi e perdersi nel gri­giore di un gretto conformismo.

Inoltre quegli scritti costituiscono anche il documento prezioso di un’educazione letteraria, esteriormente montiana e neo­classica, ma nel suo fondo più veramente classica e pariniana, che anch’essa non an­drà perduta nel trapasso di Manzoni alla poetica romantica, e contribuirà a configu­rare il tono originalissimo della sua adesio­ne al romanticismo, così equilibrata e alie­na da ogni morbidezza sentimentale, così sensibile ai valori di una tradizione locale, realistica e antilirica, densa di spunti con­creti, di motivi storicamente determinati, di significati civili.