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 2009  luglio 06 Lunedì calendario

LA CINA CI RIPENSA, ALT ALLE NUOVE DIGHE


L’energia idroelettrica copre quasi il 15% dei consumi Ma l’impatto ambientale e sociale si rivela troppo alto

PECHINO – Alla fine, anche il pri­mo ministro Wen Jiabao ha detto che era il caso di fermarsi. La catena di di­ghe progettate sul fiume Nu – che a valle, in Birmania, si chiama Salween – deve attendere. Bisogna studiare l’impatto sulle popolazioni, sull’am­biente. Il Nu è uno degli ultimi grandi fiumi della Cina il cui corso non sia in­terrotto da chiuse, attraversa vallate ri­sparmiate dallo sviluppo impetuoso che ha trasformato altre aree del Paese e segna l’area di radicamento di alcune delle molte minoranze etniche della provincia dello Yunnan. Si aspetterà, dunque. Il premier o il governo diran­no se ricominciare e, se sì, quando.

Comunque vada a finire la storia del Nu, l’invito alla cautela di Wen ha se­gnato un punto di svolta. Il premier ha fama di riformista e si concede atteg­giamenti quasi liberal. Le sue parole sembrano sancire che tra le autorità, ai massimi livelli, la frenesia che ha por­tato la Cina a riempirsi di dighe lascia spazio a un approccio più ponderato. Si vada avanti, ma con cautela. Si pro­getti, ma si tenga conto di tutto, anche delle ricadute negative. Quasi una ri­flessione inespressa sul modello di svi­luppo. Prende forma un atteggiamen­to meno entusiasta e più pragmatico, che si libera (almeno in superficie) del­lo slancio superomistico ereditato da Mao Zedong, convinto com’era che la natura si dovesse radicalmente trasfor­mare in nome della rivoluzione.

Non è in discussione l’intera strate­gia cinese, da sempre contestata dalle ong ecologiste internazionali. Nel 2007, secondo l’ultimo rapporto della Nea (l’ente competente), il 14,94% del­l’energia è venuto dagli impianti idroe­­lettrici: la Repubblica Popolare è il se­condo consumatore e il secondo pro­duttore al mondo di energia, ma il pri­mo produttore quanto a energia idroe­­lettrica: «Le dighe – spiega categorico al Corriere Wang Guoqing, dell’Istitu­to nazionale di ricerca idraulica di Nan­chino – producono energia pulita. un fatto. Sono emersi problemi, certo, ma ne abbiamo fatto tesoro. E al di là della creazione di energia, le dighe per­mettono di affrontare e gestire con suc­cesso inondazioni e siccità».

Eppure, la nuova prudenza è un aspetto che ritorna spesso, negli ulti­mi mesi. Clamoroso il caso delle dighe sul fiume Jinsha, affluente dello Yangt­ze. Anche il Jinsha scorre per buona parte nello Yunnan e tocca l’area di Lijiang, ora una delle zone di maggior sviluppo turistico. Qui il ministero del­la Protezione ambientale è riuscito a bloccare due grandi dighe, una da 2,2 milioni di kilowatt (impianto di Ludi­la), l’altra da 1,7 milioni (Longkaikou). Progetti costosi, con importanti socie­tà coinvolte, ed è per questo che la so­spensione è inusuale: per l’autorevole rivista economica Caijing, infatti, gli investimenti pianificati sono rispetti­vamente di 17,8 miliardi di renminbi (quasi 2 miliardi di euro) e 11,8 miliar­di (ben oltre il miliardo di euro).

Un terzo fronte riguarda lo Yangtze. Bisognerebbe chiedere agli storioni ci­nesi o alle focene senza pinne. La diga di Xiaonanhai sul fiume più lungo del­la Cina li decimerebbe, accelerandone l’estinzione. Finora storioni e focene erano al sicuro nell’unica riserva ittica dello Yangtze, e alla sollevazione degli ambientalisti si è unita la cautela del ministero della Protezione ambienta­le, espressa dall’ingegnere capo Wan Bentai. Qui la contesa si annuncia più complicata, però. L’entità dell’investi­mento, circa 2 miliardi e mezzo di eu­ro, è consistente, ma soprattutto la di­ga sorge 30 chilometri a monte di Chongqing, municipalità metropolita­na da 31 milioni di abitanti, motore dello sviluppo dell’entroterra. Chon­gqing è il feudo di Bo Xilai, segretario locale del Partito, ex ministro del Com­mercio e influente membro del Polit­buro, circostanze che sembrano indica­re come – nonostante l’attenzione per le 162 specie di pesci tipici del solo Yangtze – la diga andrà avanti.

A dare una scossa alle coscienze (co­scienza politica compresa) è stata la co­lossale diga delle Tre Gole, avviata nel ”94 e già in grado di fornire nel 2008 l’8,8% dell’elettricità consumata dalla Cina intera. In aprile un rapporto del­l’Accademia delle Scienze ha ammesso che l’impianto sta danneggiando la qualità dell’acqua e diversi ecosistemi. Perplessità sull’impatto della super-di­ga – 185 metri in altezza, costo uffi­cialmente stimato di circa 22 miliardi di euro, ben di più in realtà – sono stati avanzati da tempo e hanno trova­to, per esempio, la via del racconto let­terario (come ne «Gli amanti del tem­pio » di Hong Ying, tradotto in Italia da Garzanti) e cinematografico («Still Li­fe » di Jia Zhangke, Leone d’Oro a Vene­zia nel 2006). Non è un caso che i top leader, dal presidente Hu Jintao a Wen Jiabao, abbiano accuratamente evitato di associare la propria persona all’ope­ra. L’inaugurazione slitterà: «Improba­bile che quest’anno avremo una ceri­monia ufficiale di chiusura del proget­to », ha ammesso in aprile al South Chi­na Morning Post il direttore dell’uffi­cio per le Tre Gole in seno al Consiglio di Stato (il governo), Wang Xiaofeng. Anzi, nei prossimi 10 anni Pechino è pronta a sborsare altri 11 miliardi di euro.

Oltre ai problemi ecologici, preoccu­pano le implicazioni sociali. In 60 anni di Cina comunista, per la costruzione di 86 mila dighe sono stati sradicate e ricollocate oltre 12 milioni di persone, e l’epopea drammatica di quelle coin­volte dalle Tre Gole non si è ancora esaurita, con nuovi trasferimenti, nuo­vi indennizzi, nuove proteste. Al pun­to che nel 2009 il ministero delle Risor­se idriche ha diramato una circolare sottolineando quanto fondamentale fosse «proteggere la stabilità sociale nelle zone della diga». L’intersecarsi della componente geologico-ambien­tale con quella sociale genera appren­sioni doppie che contribuiscono all’at­teggiamento più prudente. Il terremo­to del Sichuan del 2008 è una lezione che non si dimentica. Già alla fine del­l’anno scorso geologi cinesi e della Co­lumbia University hanno avanzato l’ipotesi che la presenza del bacino idroelettrico di Zipingpu non lontano dall’epicentro, con 320 milioni di ton­nellate a pesare su una nota faglia, ab­bia potuto accelerare o amplificare gli effetti del sisma. La tesi è controversa ma è emersa con la cruda vivacità di tutte le questioni che hanno riguarda­to il terremoto del Sichuan e le respon­sabilità delle autorità, locali e non. Il costo di una diga non è più materia per ingegneri ed economisti, soltanto. C’è un prezzo politico da mettere in conto, e non è detto che si trovi chi vo­glia pagarlo.